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OCSE: uno sguardo sull’istruzione in Italia

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Prendiamo a prestito la pagina dell’approfondimento del lunedì, solitamente dedicata alle partnership pubblico-private, per parlare di scuola, riprendendo la notizia presentata l’altro ieri dalla redazione. Si tratta del documento “Uno sguardo sull’istruzione: indicatori dell’OCSE”, autorevole fonte di informazioni sullo stato dell’istruzione nel mondo. L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico analizza periodicamente il finanziamento e le prestazioni dei Paesi aderenti e di altri partner.

La Scheda Paese relativa all’Italia prende in esame cinque temi: livelli d’istruzione conseguiti, competenze e partecipazione nel mercato del lavoro; equità nell’istruzione e nel mercato del lavoro; finanziamento dell’istruzione; la professione di docente; l’istruzione terziaria.

Data la rilevanza dell’argomento abbiamo pensato di proporre l’intero documento all’attenzione dei lettori di Felicità Pubblica. Per facilitare la consultazione abbiamo diviso il Rapporto in due parti (la seconda sarà pubblicata lunedì prossimo) privandolo di tabelle e diagrammi. Il testo integrale è consultabile alla pagina.

Istruzione terziaria (tertiary education): ciclo breve professionalizzante, titoli universitari di 1° livello e di 2° livello, programmi di dottorato

Nell’istruzione terziaria, l’Italia associa alti tassi di laureati di 2° livello con una bassa percentuale di diplomati nell’ambito di programmi di studio a ciclo breve professionalizzante, e di laureati di 1° livello.

Se le attuali tendenze verranno confermate, nell’arco della propria vita, il 20% dei giovani italiani conseguirà un titolo universitario di secondo livello o un titolo universitario equivalente (per esempio: una laurea magistrale); ciò rappresenta una quota maggiore rispetto alla media dei Paesi dell’OCSE, che è pari al 17%. Tuttavia, si prevede che in Italia solo il 42% dei giovani si iscriverà ai programmi d’istruzione terziaria, la minore quota d’iscrizione rispetto all’insieme dei Paesi OCSE, dopo il Lussemburgo e il Messico. Nel complesso, il 34% dei giovani italiani dovrebbe conseguire un diploma d’istruzione terziaria, rispetto a una media OCSE del 50%. In Italia, la minore differenza registrata tra percentuali previste di laurea di secondo livello e tassi complessivi dei titoli di studio conseguiti nell’istruzione terziaria, suggerisce che la maggior parte dei laureati lascia gli studi dopo aver ottenuto un titolo di secondo livello.

Negli ultimi anni, l’Italia ha compiuto progressi importanti per creare programmi dell’istruzione terziaria che preparino gli studenti a un rapido ingresso nel mercato del lavoro, principalmente con la creazione di nuove istituzioni (istituti tecnici superiori) per programmi d’istruzione terziaria di ciclo breve professionalizzante, in stretta collaborazione con i datori di lavoro e le esistenti istituzioni della formazione superiore. L’Italia deve continuare a rafforzare questa tipologia di programmi.

I programmi d’istruzione terziaria di ciclo breve professionalizzante sono meno teorici rispetto ai programmi di laurea di primo livello e sono utili per approfondire le conoscenze attraverso l’insegnamento di nuove tecniche, nozioni ed idee che generalmente non sono trattate nell’istruzione secondaria superiore. Fino a tempi recenti, in Italia, solo una quota trascurabile di studenti – un tasso inferiore all’1% nel 2013 – era iscritta a questi programmi. In media, nell’area dell’OCSE, il 18% degli studenti iscritti per la prima volta a un ciclo terziario d’istruzione, ha scelto programmi di studio professionalizzanti di ciclo breve. Queste tipologie di programmi potrebbero aumentare in modo sostanziale i tassi globali dei diplomi conseguiti nell’istruzione terziaria (tertiary education) e aiutare i lavoratori e le imprese a diventare più competitivi nell’economia attuale, dinamica e globale.

L’istruzione terziaria (tertiary education) italiana non attrae gli studenti degli altri Paesi dell’OCSE.

Nel 2013, circa 46 000 studenti italiani risultavano iscritti in strutture d’istruzione terziaria in un altro Paese dell’OCSE, mentre 3 000 altri studenti hanno scelto di studiare in un Paese non membro dell’OCSE. Regno Unito, Austria e Francia sono le destinazioni preferite per questi studenti. Il numero di studenti italiani che studia all’estero è in costante crescita. Per esempio, nel 2007, circa 6 000 italiani studiavano nel Regno Unito e al 2013, tale cifra era aumentata fino a 8 000. Altri Paesi hanno inviato un numero di studenti ancora più ampio all’estero. Nel 2013, circa 72 000 studenti provenienti dalla Francia e 115 000 dalla Germania studiavano in altri Paesi dell’OCSE.

Allo stesso tempo, le università italiane attirano pochi studenti stranieri. Nel 2013, meno di 16 000 studenti stranieri degli altri Paesi dell’OCSE risultava iscritto nelle istituzioni italiane dell’istruzione terziaria (il gruppo più rilevante di essi proviene dalla Grecia) rispetto a circa 46 000 studenti in Francia e 68 000 in Germania. Ad ogni modo, per l’Italia, il calcolo comparativo sovrastima le cifre degli studenti internazionali, poiché l’Italia conta tutti gli studenti stranieri che studiano nel Paese, includendo nel totale gli immigrati permanenti, mentre la Francia e la Germania riportano solo il numero di studenti internazionali che si sono trasferiti all’estero con lo specifico scopo di studiare.

Numerosi studenti internazionali affrontano una barriera linguistica quando vengono in Italia, ma le università italiane stanno tentando di superare questo problema: circa il 20% degli atenei ha proposto almeno un programma d’insegnamento in lingua inglese durante l’anno accademico 2013/2014, secondo uno studio dell’Academic Cooperation Association (rispetto a 43% in Germania e al 16% in Francia).

Livello d’istruzione conseguito, competenze e partecipazione al mercato del lavoro

Nonostante siano poco numerosi, i laureati in Italia guadagnano relativamente meno nel mercato del lavoro.

In media, in Italia come altrove, i laureati hanno redditi da lavoro più alti rispetto ai lavoratori con un livello d’istruzione inferiore. Tuttavia, l’Italia si distingue rispetto ai Paesi che registrano quote altrettanto piccole di laureati. Nei Paesi OCSE e Paesi partner, in genere, a un minore numero di laureati corrispondono maggiori vantaggi salariali. Nel 2014, in Italia, solo il 17% degli adulti (25- 64enni) era titolare di una laurea, percentuale simile a quelle del Brasile, del Messico e della Turchia. Tuttavia,in questi tre Paesi la differenza tra i redditi dei laureati e quelli degli adulti che hanno conseguito solo un diploma della scuola secondaria superiore come livello massimo d’istruzione, è più alta rispetto alla media dell’OCSE, mentre in Italia i redditi rispettivi sono inferiori: 143% rispetto alla media OCSE del 160%. (2013).

Per i 25-34enni diplomati dell’istruzione terziaria è molto difficile trovare un lavoro, soprattutto per i laureati di prima generazione.

Nel 2014, solo il 62% dei laureati tra 25 e 34 anni era occupato in Italia, 5 punti percentuali in meno rispetto al tasso di occupazione del 2010. Questo è un livello paragonabile a quello della Grecia ed è il più basso tra i Paesi dell’OCSE (la media dell’OCSE è dell’82%). L’Italia e la Repubblica Ceca sono i soli Paesi dell’OCSE dove il tasso di occupazione tra 25 e 34 anni è il più basso tra i laureati rispetto alle persone che hanno conseguito, come più alto titolo di studio, un diploma d’istruzione secondaria superiore (o post secondaria non terziaria). In Italia, gli studenti che si iscrivono all’istruzione terziaria potrebbero dover aspettare a lungo un ritorno d’investimento sul mercato del lavoro.

Il tasso di occupazione è particolarmente basso per i 25-34enni con un livello d’istruzione terziaria, con genitori non laureati e che hanno meno probabilità di accedere a una rete di relazioni sociali estesa per trovare un lavoro. Mentre, in media, tra i Paesi che nel 2012 hanno partecipato allo studio dell’OCSE sulle competenze degli adulti (PIAAC), il tasso di occupazione dei diplomati dell’istruzione terziaria di prima generazione era dell’88% e prossimo al tasso di occupazione del 90% tra i figli di genitori laureati, in Italia per i laureati di prima generazione la differenza supera i 12 punti percentuali.

La partecipazione all’istruzione post secondaria e terziaria ha avuto scarso effetto nel limitare l’aumento dei giovani NEET (che non sono impegnati nello studio, nel lavoro o nella formazione).

La prospettiva di un ritorno d’investimento relativamente basso e incerto, dopo un lungo periodo trascorso nel sistema dell’istruzione, potrebbe spiegare l’interesse limitato dei giovani italiani ad intraprendere gli studi universitari. Circa il 35% dei 20-24enni non hanno un lavoro, non studiano, né seguono un corso di formazione (i cosiddetti NEET: neither in employment, nor in education or training), la seconda percentuale più alta dei Paesi OCSE. Tra il 2010 e il 2014, i tassi di occupazione hanno registrato un brusco calo per questa fascia di età (dal 32% al 23%), ma la quota dei 20-24enni che continua a istruirsi è rimasta stabile al 41%. Ciò suggerisce che per i giovani che hanno difficoltà a trovare un lavoro, la prospettiva di proseguire gli studi è raramente considerata come un investimento che potrebbe migliorare le loro opportunità di successo sul mercato del lavoro.

Molti laureati hanno difficoltà a sintetizzare le informazioni provenienti da testi complessi e lunghi.

Molti fattori diversi, tra i quali la scarsa domanda di lavoratori con qualifiche universitarie, da parte dei datori di lavoro, e le conseguenze della crisi economica del 2008-2009, potrebbero spiegare le difficoltà incontrate in Italia dai laureati a trovare un lavoro. Tuttavia, diversi indicatori suggeriscono che una delle principali cause sia collegata al fatto che spesso i titoli di studio non coincidono con l’acquisizione di competenze solide, sollevando interrogativi circa la qualità dell’apprendimento nelle istituzioni dell’istruzione terziaria. L’Italia, con la Spagna e l’Irlanda, ha registrato uno dei punteggi più bassi in termini di lettura e comprensione (literacy) dei 25-34enni, titolari di un diploma universitario (istruzione terziaria), che hanno partecipato allo studio dell’OCSE sulle competenze degli adulti (PIAAC).

Molti laureati hanno difficoltà nell’integrare, interpretare o sintetizzare le informazioni contenute in testi complessi o lunghi, nonché nel valutare la fondatezza di affermazioni o argomentazioni a partire da indizi sottili.

Il profilo sbilanciato della mobilità degli studenti internazionali (si veda sopra) e il basso livello di finanziamento dell’istruzione terziaria sono ulteriori segni di debolezza del sistema d’istruzione terziaria in Italia.

Il finanziamento dell’istruzione

In Italia, il livello di spesa per l’istruzione terziaria è relativamente basso.

In Italia, nel 2012, le istituzioni dell’istruzione terziaria hanno speso 10 0712 dollari statunitensi per studente. Si tratta di un livello di spesa per studente superiore a quello di più di un terzo dei Paesi OCSE e Paesi partner, ma è pari a solo due terzi della spesa media OCSE (Tabella B1.1a). Il finanziamento delle istituzioni del settore d’istruzione terziario rappresentava lo 0.9% del prodotto interno lordo (PIL) del Paese, con un leggero aumento rispetto al livello di spesa dello 0.8% registrato nel 2000 ma rappresenta comunque la seconda quota più bassa tra i Paesi dell’OCSE dopo il Lussemburgo, e un livello simile a quello del Brasile e dell’Indonesia. All’opposto, paesi come Canada, Cile, Corea, Danimarca, Finlandia, Stati Uniti, hanno dedicato quasi il 2%, o una quota superiore, del PIL all’istruzione terziaria.

Prosegue lunedì prossimo

OCSE: uno sguardo sull’istruzione in Italia (seconda parte)
In Calabria nel nome di Gedeone, uomo di grande fede

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