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Vertice di Tallinn: non nascondiamoci dietro la Libia

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Domani è il giorno del vertice di Tallinn sulle migrazioni. Apprezzamenti “formali” per lo sforzo “eroico” dell’Italia, resistenze più o meno esplicite, tentativi di mettere in campo nuove regole: grande è la confusione sotto il cielo.

Sintetizzando, questi i punti in discussione: definire un “codice di condotta” per le Ong, sostenere anche dal punto di vista economico la Guardia costiera libica per il monitoraggio delle coste, fornire aiuti all’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati per verificare che i centri in Libia rispondano agli standard internazionali per condizioni di vita e rispetto dei diritti umani, rafforzare la strategia europea sui rimpatri, incrementare i tassi di riammissione, dare reale attuazione alle intese concordate a livello comunitario per la riallocazione delle persone che necessitano di protezione umanitaria.

Almeno due legittime preoccupazioni motivano il negoziato in atto: il sistema italiano di accoglienza è sotto pressione, al limite della sua capacità di tenuta; se non si riescono a “governare” i flussi migratori si rischia che la reazione populista e xenofoba si rafforzi ulteriormente, diffondendosi rapidamente in tutta Europa con esiti politici imprevedibili. Preoccupazioni più che fondate.

D’altra parte, in termini generali, ciascuna delle opzioni in discussione appare assolutamente ragionevole. Eppure c’è qualcosa che non va, qualcosa che non convince fino in fondo anche nelle posizioni del Governo italiano.

Se ne sono fatti interpreti, tra gli altri, Forum del Terzo Settore e Caritas italiana.

“Il Forum del Terzo Settore esprime viva preoccupazione (…) in merito alla ventilata intenzione da parte delle autorità italiane ed europee di procedere con misure per limitare gli interventi di salvataggio dei migranti che attraversano il Mar Mediterraneo verso l’Europa, fino a prevedere la chiusura dei porti alle navi di soccorso”.

Oliviero Forti, responsabile dell’area immigrazione della Caritas, ha affermato: “limitare fortemente l’azione Ong ed esternalizzare le frontiere è inaccettabile, vuol dire andare nel senso inverso a quanto da noi auspicato: cioè trovare canali legali e sicuri d’ingresso in Europa”. Ma ha anche segnalato alcuni aspetti a suo avviso condivisibili, come “spingere sulla relocation in altri Paesi europei, abbassando la soglia di accesso sotto il 75%” e “far sbarcare i migranti anche nei porti di Barcellona e Marsiglia”.

In effetti nella discussione in corso ci sono aspetti che potremmo definire paradossali e questioni che sollevano seri interrogativi.

Tra i primi, di certo, il ruolo delle Ong. Lo ricorderemo fino alla noia: le Ong sono presenti nel Mediterraneo per rafforzare la capacità di intervento di Frontex e della Guardia Costiera italiana. Non sono il problema, semmai sono una parte della soluzione. Discutiamo pure di “codici di condotta” ma senza l’approccio punitivo che sembra sottendere anche la posizione italiana.

Le maggiori preoccupazioni, però, traggono origine da quella che Caritas definisce “esternalizzazione delle frontiere”. Non sarà mai che si voglia percorrere la strada già battuta con la Turchia? Sostenere la Libia, militarmente ed economicamente, in modo tale che in quel Paese venga bloccato il flusso migratorio. E lì, succeda quel che succeda. Se la Turchia non dava garanzia di rispetto dei diritti umani figuriamoci la Libia. Tanto, come rassicura il presidente francese Macron, per l’80% si tratta di migranti economici e solo per il 20% di autentici richiedenti asilo. E, come tutti sanno, la civilissima Francia, proprio quella della Presa della Bastiglia, si occupa solo di “autentici rifugiati”.

Non vorremmo che la nostra Italia e la nostra Europa, in un eccesso di realismo politico, per combattere i populismi e la deriva xenofoba, finissero per nascondere la polvere sotto il tappeto. Allora un interrogativo è d’obbligo: ci stanno a cuore le persone che fuggono da guerre, persecuzioni politiche, carestie e fame o ci preoccupiamo che in Europa arrivi il minor numero possibile di migranti? Le scelte politiche sono conseguenza della risposta a questa semplice domanda.

Nel primo caso, nelle fasi di emergenza daremo priorità ai salvataggi in mare e, in prospettiva, ci impegneremo a trovare “canali legali e sicuri d’ingresso in Europa” come, ad esempio, i corridoi umanitari. Nel secondo caso, affideremo i respingimenti alla Libia, naturalmente trasferendo tanti soldi e raccomandando pieno rispetto dei diritti umani.

Ma attenzione, questo modo di combattere il populismo è inefficace perché, come l’esperienza ha insegnato, l’originale è sempre più apprezzato della copia; in più si finisce per compromettere alla radice l’identità europea, fatta di rispetto dei diritti e di solidarietà.

 

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