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Ucraina: l’accoglienza, il Terzo Settore e gli “ospiti” a lungo termine

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È trascorso già un mese da quando il popolo ucraino si è ritrovato a fare i conti con l’invasione da parte delle milizie russe. In queste quattro settimane, oltre all’escalation del conflitto, con bombardamenti e scontri a fuoco che si stanno allargando a macchia d’olio in tutte le principali città del Paese dell’Est, stiamo assistendo anche all’esodo della popolazione ucraina in fuga dalle bombe. Come sappiamo, si tratta principalmente di donne con bambini, costrette a lasciare la propria casa e i propri uomini – padri, mariti, figli – al fronte per contrastare l’invasione di quel nemico che, come raccontano, finora era sempre stato un fratello.

Milione di persone che, afferrata una valigia e pochi effetti personali (nella migliore delle ipotesi) si sono messi in viaggio verso gli altri Stati europei in cerca di un rifugio sicuro per sé stessi e per i propri figli piccoli. Come sempre –  e di questo non possiamo che essere fieri – l’Italia ha dimostrato un grande spirito di solidarietà, mettendo in campo forze di ogni genere per garantire una pronta assistenza al popolo ucraino. Gli hotel hanno riaperto le strutture chiuse per l’inverno, le famiglie hanno accolto sconosciuti in casa, in molti hanno già dato la propria disponibilità alla rete del Garante per l’infanzia e l’adolescenza per accogliere minori non accompagnati.

A questo si è aggiunto, come sempre, l’impegno dell’esercito buono, quello che opera sotto la bandiera del Terzo Settore, composto da migliaia di volontari che sin dai primi giorni si sono attivati per dare il loro contributo. In un primo momento le forze sono state dirottate sulle collette e sulle raccolte di generi alimentari, di prima necessità, di vestiario e farmaci da inviare nelle zone di confine. Poi, quando è apparso ormai evidente che il conflitto non si sarebbe risolto in pochi giorni e che la popolazione più fragile era necessariamente destinata al rapido esodo, hanno proseguito con il loro operato dando vita alla macchina dell’accoglienza, nelle forme e nei modi più vari.

Dalle onlus più strutturate alle associazioni locali di volontariato, passando per l’impegno di privati cittadini, davvero tutti hanno voluto finora fare la propria parte, dimostrando una solidarietà che – lasciatemelo dire – non è stata riservata con lo stesso entusiasmo ad altre popolazioni in passato. Ma al di là delle polemiche di natura prettamente “etnica”, viene da chiedersi quanto ancora durerà tutto questo?

E non parlo del conflitto. Mi chiedo se, superati lo stupore e la commozione iniziale, e qualora malauguratamente la guerra dovesse durare a lungo, gli italiani saranno in grado di mantenere alta l’asticella del loro buon cuore o, al contrario, inizieranno a lamentare il “peso” di questi nuovi ospiti. Chiaramente non mi riferiscono al mondo del volontariato che, per sua natura, indubbiamente continuerà a dedicarsi alla causa umanitaria senza risparmiarsi, ma del popolo comune.

Con il nostro tasso di disoccupazione e la crisi economica che dall’arrivo del Covid ad oggi sta attanagliando migliaia di famiglie, siamo certi che a breve non si inizi a guardare con sospetto queste donne che oggi ci suscitano solo tenerezza e comprensione ma che domani qualcuno potrebbe accusare di “rubarci il lavoro”? Io mi auguro davvero di no e sono certa che gli italiani non corrano grandi rischi in merito.

Del resto, gli ucraini hanno dimostrato già dai primi giorni di essere un popolo molto indipendente che non vuole vivere in Italia e non vuole gravare sulle spalle degli italiani. La speranza, per tutti loro, è quella di tornare presto nel proprio Paese. Finora, per via del mio lavoro, ho incontrato tante donne ucraine e non c’è stata una di loro che mi ha detto di voler vivere in Italia, pur apprezzando molto il nostro Paese e pur esprimendo molta riconoscenza. Una di loro mi ha confessato che il suo nipotino di 5 anni, alla domanda su cosa volesse fare da grande, le ha risposto: «il soldato, così posso tornare a casa mia». Una frase che mi ha lasciato senza fiato e che dimostra che, come al solito, sono sempre i più indifesi a pagare lo scotto delle decisioni dei “potenti”.

E allora ricordiamoci che quel bambino potrebbe essere nostro figlio, nostro nipote. E ricordiamocelo anche domani, sia nel caso in cui dovesse rimanere tra noi per molto tempo, sia qualora non dovesse avere gli occhi azzurri e i capelli biondi.

Il direttore

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