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Sierra Leone: il dramma dopo l’alluvione, si scava ancora nel fango

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L’agosto di quest’anno nel mondo ha collezionato un gran numero di tragedie, una delle più gravi ha coinvolto – durante la vigilia di ferragosto – la Sierra Leone e, più precisamente, la sua capitale, Freetown. Una valanga di fango è stata la causa di circa 450 morti accertati fino a questo momento tra cui purtroppo si contano almeno un centinaio di bambini e un inevitabile seguito di sfollati, 6.000 circa. I numeri, tuttavia, sembrano destinati a salire per cui attualmente non è possibile fornire la dimensione esatta di tale enormità.

Un evento terribile che ha piagato uno dei Paesi più poveri al mondo e che ha spinto il presidente della Sierra Leone, Ernest Bai Karoma a richiedere l’intervento delle Nazioni Unite. L’Onu ha effettivamente risposto all’appello attraverso il World Food Program, e tutt’ora sta lavorando per garantire almeno l’assistenza alimentare alla moltitudine delle persone colpite dal disastro.

Tutto è cominciato con un’alluvione a cui sono seguite frane e smottamenti che si sono abbattute sulla capitale della Sierra Leone dove la popolazione vive perlopiù in edifici fatiscenti, baracche, abitazioni di fortuna. Malauguratamente, scavare nel fango nella speranza di ritrovare i propri cari è servito a poco contro la furia degli elementi naturali, soprattutto in considerazione del fatto che il Paese africano stava vivendo l’acme della stagione delle piogge. Tuttavia, un ruolo determinante nella sciagura è certamente da attribuirsi alla selvaggia deforestazione che coinvolge la capitale della Sierra Leone ormai da diversi anni, a vantaggio di una veloce edificazione ai margini di Freetown.

Anche la Croce Rossa internazionale è presente sul luogo della tragedia e, insieme alle Nazione Unite, è impegnata ogni giorno a normalizzare una situazione drammatica, mentre altre organizzazioni umanitarie si sono mobilitate o si stanno muovendo per raggiungere la Sierra Leone.

 

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