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In Sud Sudan la guerra per il petrolio aggrava la carestia

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In Sud Sudan la situazione non solo è drammatica ma è praticamente fuori controllo sia nella capitale Giuba che nelle altre zone in guerra da dicembre del 2013.

Come avevamo spiegato in questo articolo, il Sud Sudan, staccandosi dal Sudan,  è nato nel 2011 ma i motivi del conflitto risalgono indietro nel tempo e sono i contrasti etnici, la lotta per l’accaparramento del cibo e la suddivisione delle cariche politiche. Si è verificata, per questi motivi, una spaccatura all’interno del Movimento di liberazione del popolo sudanese che ha sostenuto l’ascesa al potere del presidente Salva Kiir creando la conseguente scissione sostenuta dall’ex vicepresidente Rieck Machar; un’ulteriore scissione si è avuta poi (nella nuova fazione ribelle) con Taban Deng Gai (alleato di Kiir), ed è intorno a questi tre nuclei che si muovono le alleanze locali.

Nonostante a settembre del 2018 il governo del presidente Salva Kiir abbia firmato un accordo per il cessate il fuoco (Revitalised Agreement on the Resolution of Conflict in South Sudan) con i ribelli guidati da Riek Machar, le violenze hanno superato ogni limite. Oltre a rapimenti di civili, raid armati, stupri, esecuzioni extragiudiziali, si è aggiunta una grave carestia che minaccia la popolazione già stremata dalla guerra.

Infatti quasi 7 milioni di persone sono a rischio perché non hanno cibo e di questi oltre 850.000 sono minori. Sono numeri registrati da Fao, Unicef e Programma alimentare mondiale e, secondo questo studio, le persone a rischio malnutrizione da gennaio 2018 sono aumentate del 13 per cento. La causa principale dell’impossibilità di avere accesso al cibo è il conflitto in corso che colpisce il settore agricolo, l’allevamento e l’accesso a fonti di cibo alternativo. Oltre a questo, la guerra ha ridotto in modo importante la coltivazione e la produzione di cereali: se nel 2018 questi prodotti hanno sfamato il 61 per cento della popolazione, nel 2019 la percentuale di persone sfamate scenderà al 52 per cento.

L’UNHCR ha pubblicato alcuni giorni fa un report riguardo le indagini svolte su 175 vittime di stupro nello stato di Unity, nel Nord dello Stato, sebbene in tutto il Paese da novembre dello scorso anno le donne vittime di stupro siano oltre 500. Infatti accade normalmente che ai soldati delle milizie venga concesso di stuprare donne come compenso per il loro servizio paramilitare.

 Nel frattempo Amnesty International ha denunciato che nel mese di febbraio di quest’anno sono state eseguite sette condanne a morte in Sud Sudan,  cifra che rappresenta anche il totale delle esecuzioni del 2018; le esecuzioni sono avvenute, afferma Amnesty, nella più totale segretezza. Non è difficile quindi immaginare che le esecuzioni capitali abbiano un numero più elevato.

Del resto il Sud Sudan è uno dei Paesi più ricchi di giacimenti petroliferi, mentre le raffinerie dell’oro nero sono in Sudan: è pertanto naturale capire il potenziale economico di quelle terre, mentre la situazione è aggravata a causa dell’enorme stato di corruzione tra la classe dirigente del Paese africano che, con il denaro, può muovere le milizie da una fazione all’altra. Quindi dietro questa guerra insensata c’è proprio il petrolio e molte sono le multinazionali che esborsano milioni di dollari per poter sfruttare le risorse del sottosuolo. Va da sé che i dollari finiscano nelle tasche di funzionari e potenti che finanziano distruzione, morte e milizie, come aveva dimostrato un report di The Sentry, mentre la popolazione soffre la fame e  fugge dalle atrocità.

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