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Ci sono voluti duemila anni ma, alla fine, Ovidio ce l’ha fatta: l’Assemblea Capitolina ha approvato all’unanimità la proposta grillina di revocare la relegatio contro il poeta originario di Sulmona (L’Aquila) emanata dall’imperatore Augusto nell’ottavo secolo.
Dopo essere entrato nelle grazie dell’imperatore, Publio Ovidio Nasone, questo il nome completo dell’autore delle Metamorfosi, era stato allontanato da Roma e spedito a vita, proprio per volontà di Augusto, a Tomi, nel Ponto (attuale Romania): l’angolo più remoto dell’Impero. Le ragioni che spinsero l’uomo più potente di Roma a esiliare il poeta sono tuttoggi poco chiare. Lo stesso Ovidio è reticente a riguardo: «Due crimini mi hanno perduto, un carme e un errore: di quest’ultimo debbo tacere quale è stata la colpa», confessava.
Da quanto emerge da questa frase, una vera e propria ammissione di colpevolezza scritta in distici elegiaci durante l’isolamento, i crimini sarebbero due: un carme – probabilmente l’Ars Amatoria che, per i suoi espliciti richiami licenziosi, non rientrava nella politica culturale augustea basata sulla restaurazione del mos maiorum (le antiche tradizioni dei padri) – e un altro errore, sul quale però, Ovidio, pur non avendo più nulla da perdere essendo esiliato, preferisce tacere. Alcuni esperti hanno ipotizzato che Ovidio avesse avuto una relazione amorosa con Giulia, figlia di Augusto e moglie del futuro imperatore Tiberio, e che questo, ovviamente, abbia definitivamente compromesso i rapporti tra il poeta e il potere: fino alla fine dei suoi giorni il poeta invocherà perdono, dimostrando ripetute volte il desiderio di tornare a Roma, ma, la sua richiesta, non sarà mai ascoltata.
Difficile risalire alla verità sulle colpe commesse da Ovidio, troppo tempo è passato e di certo il poeta ha pagato appieno morendo a Tomi, nel 17 d.c., lontano da tutto e tutti. Qualche giorno fa, però, il Comune di Roma, in qualità di ideale “erede” dell’Impero Romano, ha riabilitato il poeta, riparando in parte al grave torto subìto da uno dei più grandi cantori della latinità.
Il vicesindaco della Capitale, nonché assessore alla cultura, Luca Bergamo soddisfatto ha affermato: «La revoca della relegatio ovidiana è importante perché parla del diritto degli artisti di esprimersi liberamente in una società in cui la libertà di espressione artistica è sempre più complessa. Il riconoscimento della funzione che ha la cultura passa anche attraverso l’affermare che Publio Ovidio Nasone ha subiìo un torto da parte di un potere assolutista».
Nasco un piovoso giovedì di giugno con l’idea di osservare il mondo dei “grandi”. Benché l’indagine mi diverta molto, rimango stupita da alcuni errori commessi dagli adulti che stridono fortemente con quell’aria da “so tutto io”. In quanto giovane donna, la prima campagna che decido di abbracciare è quella contro la discriminazione sessuale: con una sensibilità fuori dal comune, alle elementari fondo l’illustre Club delle femmine e ottengo, ad esempio, la precedenza nell’uscita da scuola rispetto ai maschietti. Approdo nel periodo adolescenziale con le idee confuse, man onostante tutto sopravvivo ai brufoli e anche al liceo classico. Per l’università non ho dubbi: scelgo Lettere, mio padre ancora piange, ma avevo deciso: avrei fatto la giornalista. Ogni volta che scrivo la parola «giornalista» risuona nella mente la voce di una mia zia che aggiungeva con voce litanica: «che per la fame perde la vista». Poco male mi dicevo: cecata lo sono sempre stata e affamata, seguendo un celebre discorso di Steve Jobs, volevo proprio esserlo. Poi mi imbatto nella filologia ed è amore dal primo istante: pochi sembrano capirla mentre io m’immergo tra gli stemmata codicum, errori e varianti. Ricostruire la lezione originale mi diverte come poche cose al mondo. Ora vivo nel dubbio: giornalista o filologa? Nell’attesa di trovare dentro di me la risposta, da settembre del 2017 lavoro per “Felicità Pubblica”.
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