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E se succedesse anche a me? Solo l’ipotesi mi fa attorcigliare le budella, eppure, da quanto emerge attraverso i dati Istat, che una donna sia oggetto d’attenzione morbosa da parte di un uomo fino al punto d’essere stalkerizzata, picchiata, abusata e uccisa è un evento così comune da diventare episodio quotidiano di ordinaria follia.
D’altra parte non occorre riportare alla memoria le migliaia di notizie a riguardo divulgate dai canali d’informazione: ne risulterebbe un necrologio di proporzioni enormi. Anche l’infelice neologismo “femminicidio”, coniato apposta per designare casi di uccisione di una donna legati a questioni di genere, esprime l’esigenza di sopperire, almeno in campo linguistico, a un vuoto che fino a poco tempo fa era anche istituzionale.
Nel nostro Paese i primi centri antiviolenza risalgono agli anni Novanta – penso alla Casa delle donne per non subire violenza di Bologna e alla Casa delle donne maltrattate di Milano – ma occorre aspettare il 2013 per l’approvazione, a seguito della Convenzione di Istanbul, del decreto, ora divenuto legge, contro il femminicidio.
Credo ci sia un’arretratezza culturale dietro questa scia di sangue che colpisce noi donne: permane ancora una lettura dei rapporti tra uomo e donna condizionata da una visione archetipa che fa del maschio il soggetto dominante. In passato gli uomini si sentivano legittimati, dato il potere domestico assegnato loro da una società evidentemente misogina, a esprimere la propria autorità attraverso atti che comportavano il ricorso alla forza fisica.
L’impostazione gerarchica dei ruoli che faceva del maschio un legittimo sopraffattore è oggi soggetta, e menomale, a un inarrestabile declino: le arcaiche gerarchie legate al genere sono state spazzate via dal desiderio femminile di autonomia. Quella secolare posizione subalterna in cui noi donne siamo state eternamente indotte a vivere è oggigiorno, sempre più, un lontano ricordo.
Forse, però, ad alcuni maschi questa indipendenza femminile spaventa, forse il non riuscire più a controllare la vita della propria fidanzata, compagna o moglie li espone a una minaccia: quella di vivere una virilità mutilata. Spaventato e spogliato della sua forza, a questo mezzo uomo non rimane che compiere l’atto più vile possibile: alzare le mani e, in virtù della mera prestanza fisica – unica superiorità che gli rimane e a cui si aggrappa disperato – sfogare i suoi mostruosi istinti.
Poesiola per il mostro
A te che sei l’artefice di tanto male
ti auguro che la vita te la faccia pagare.
Nell’attesa prova a farti curare
e vedi di non dimenticare:
il maltrattamento, l’abuso, persino l’eliminazione fisica di una donna
non la priverà della bellezza che le è propria.
Se con la tua turpe azione il dolore aumenterà
sappi che l’onda del cambiamento mai s’arresterà.
Nasco un piovoso giovedì di giugno con l’idea di osservare il mondo dei “grandi”. Benché l’indagine mi diverta molto, rimango stupita da alcuni errori commessi dagli adulti che stridono fortemente con quell’aria da “so tutto io”. In quanto giovane donna, la prima campagna che decido di abbracciare è quella contro la discriminazione sessuale: con una sensibilità fuori dal comune, alle elementari fondo l’illustre Club delle femmine e ottengo, ad esempio, la precedenza nell’uscita da scuola rispetto ai maschietti. Approdo nel periodo adolescenziale con le idee confuse, man onostante tutto sopravvivo ai brufoli e anche al liceo classico. Per l’università non ho dubbi: scelgo Lettere, mio padre ancora piange, ma avevo deciso: avrei fatto la giornalista. Ogni volta che scrivo la parola «giornalista» risuona nella mente la voce di una mia zia che aggiungeva con voce litanica: «che per la fame perde la vista». Poco male mi dicevo: cecata lo sono sempre stata e affamata, seguendo un celebre discorso di Steve Jobs, volevo proprio esserlo. Poi mi imbatto nella filologia ed è amore dal primo istante: pochi sembrano capirla mentre io m’immergo tra gli stemmata codicum, errori e varianti. Ricostruire la lezione originale mi diverte come poche cose al mondo. Ora vivo nel dubbio: giornalista o filologa? Nell’attesa di trovare dentro di me la risposta, da settembre del 2017 lavoro per “Felicità Pubblica”.
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