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Come un vaso di Pandora ultimamente stanno uscendo allo scoperto, da Hollywood all’Italia, sempre più casi di cronaca di violenza contro donne note del mondo dello spettacolo.
Ma quello su cui noi dovremmo soffermarci non sono i singoli avvenimenti, i personaggi famosi, i retroscena, le polemiche insensate ma l’esemplare coraggio che finalmente hanno trovato queste donne che hanno deciso di non rimanere più nell’ombra, di liberarsi da un grosso peso, di denunciare il loro carnefice e di gridarlo a voce alta davanti ai riflettori della stampa di ogni parte del mondo. Il loro atto dovrebbe essere da esempio per altre donne che non hanno ancora trovato la forza di reagire e di combattere.
La violenza contro le donne tocca tutta la società, a prescindere dall’area geografica, dalla condizione economica, dal livello d’istruzione, dalla classe sociale e dalla cultura di appartenenza.
L’abuso fisico e sessuale rappresenta un problema sanitario che colpisce oltre il 35% delle donne in tutto il mondo e, cosa ben più grave, è che ad infliggere la violenza sia nel 30% dei casi un partner intimo. Così come riporta un rapporto OMS.
Per paura di essere giudicate, per il senso di colpa, per la sfiducia in una lenta giustizia e per il rischio di ritorsioni da parte del violentatore, molte donne non denunciano gli abusi sessuali subiti e preferiscono stare in silenzio vivendo in solitudine la propria sofferenza. Possono passare anche anni, ma questo non toglie nulla alla gravità della violenza o addirittura scagiona il carnefice.
Una scrittrice inglese, Roshi Fernando, che ha raccontato di essere stata violentata da un amico di famiglia quando era bambina, ha scritto: «Credo che la vergogna sia uno dei motivi per cui gli abusi sessuali continuano a verificarsi nella nostra società. Molte donne temono di essere marchiate da questo atto e hanno paura di essere caratterizzate da esso piuttosto che dalle tante cose buone che hanno fatto nella loro vita. Nel mio caso è stato allevare una famiglia, scrivere un libro o ottenere un dottorato di ricerca».
Noi viviamo in una società liquida nella quale la velocità rappresenta il contemporaneo, ma in cui invece è difficile cambiare mentalità, cambiare modo di pensare e fare qualcosa per rimediare.
Proprio in virtù di ciò, l’intera società dovrebbe avvertire l’importanza della prevenzione e assumere su di sé questo importante compito. Ecco quindi la necessità di educare sin da piccoli i bambini, che saranno i futuri uomini di domani, al rispetto delle coetanee e in generale delle donne, a partire dalla stessa famiglia, dalla scuola e più in generale dalle istituzioni.
Inoltre, bisognerebbe cercare di eliminare la cultura maschilista in maniera tale che le nuove generazioni crescano senza pregiudizi e stereotipi. Ciò, insieme ad altre azioni di prevenzione, potrebbe essere una buona partenza nel contrastare la violenza sulle donne.
Sono nata il 4 gennaio del 1983. I posti della mia vita sono Roma, dove sono nata, Foggia dove sono cresciuta e dove c’è la mia famiglia, i miei affetti più cari, le mie amicizie, e Pescara, dove ho trascorso gli anni più belli della mia vita universitaria. Mi sono laureata in Sociologia e ho conseguito la laurea specialistica in Organizzazione e Relazioni Sociali all’Università “Gabriele D’Annunzio” di Chieti con una tesi sulle Relazioni pubbliche digitali. Il mondo digitale, gli aspetti e le relazioni sociali mi hanno da sempre affascinato. A Foggia ho lavorato come editing, creative content writer, e dal 2015 sono ritornata a vivere a Pescara dove lavoro con passione alla “Felicità Pubblica”. Sono una persona solare, tenace e determinata. Amo gli animali, ho quattro gatti e un cane, viaggiare, la musica, le foto, il cinema e il mare con tutte le sue sfaccettature.
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