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Sono arrivate le ruspe per i rifugiati di via Scorticabove a Roma

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È finita nel peggior modo auspicabile la vicenda dei rifugiati sudanesi sfrattati da via Scorticabove a Roma: sono arrivate le ruspe che hanno sgomberato il presidio degli ex abitanti della palazzina – in cui vivevano da 13 anni – che erano peraltro accampati per strada dagli inizi di luglio.

Come avevamo scritto in questo articolo gli abitanti della palazzina si trovano a pieno titolo di rifugiati nel nostro Paese, essendo perseguitati del Darfur (Ovest Sudan) e non possono quindi tornare a vivere in Sudan.

Ma non solo, poiché in questo secondo articolo avevamo dato conto della trattativa in corso con il Comune di Roma per l’assegnazione di una sistemazione in co-housing  in beni  confiscati  alla mafia, dal momento che i rifugiati desideravano vivere in un unico contesto come una grande famiglia.

Avevamo anche spiegato come, ricevendo continui rifiuti da parte delle istituzioni capitoline, si fossero accampati per la strada in via Scorticabove costituendo un presidio di rifugi fatti di tende e teli antipioggia, in condizioni igieniche più che inadeguate.

L’operazione di sgombero era attesa ma è arrivata improvvisa mercoledì 3 ottobre, condotta da agenti di Polizia Locale e della Digos. Come era prevedibile non è stata fatta alcuna resistenza da parte dei sudanesi accampati in strada che, ripetiamo, sono tutti muniti di regolare permesso e godono di protezione internazionale.

Si sono naturalmente presentate sul luogo anche le associazioni che sono sempre state al loro fianco, come Usb, A buon diritto e Alter Ego.

Si tratta quindi del secondo sgombero subito da questi rifugiati incolpevoli, dal momento che la palazzina in cui avevano abitato per anni era stata sgomberata nei primi giorni di luglio a causa dell’ex gestione della stessa da parte di una cooperativa coinvolta nello scandalo di Mafia Capitale.

Commenta in una nota l’Associazione Usb: «Quello che le istituzioni stanno chiedendo a queste persone è di sparire, dileguarsi nel nulla. In cambio il Comune mette a disposizione delle stanze per qualche settimana senza prendere atto che ha di fronte un gruppo che in questi anni è riuscito a sopravvivere solo grazie alla solidarietà reciproca: stare assieme ha permesso a più di ottanta persone di vivere senza ricevere alcun sussidio. Le operazioni di sgombero coordinate tra polizia e vigili urbani sono l’unica risposta che questa comunità di rifugiati ha ricevuto a seguito dei numerosi incontri di questi mesi con il Municipio, l’Assessorato ai servizi sociali del Comune e la Regione Lazio».

Addirittura Federiga Bolizzi di Alterego commenta: «Lo sgombero il 3 ottobre, giornata dedicata alle vittime dell’immigrazione, è un comportamento indegno. Avevamo un progetto sostenuto da architetti e professori universitari, con il parere positivo dell’avvocatura di stato, ma l’amministrazione non ne ha tenuto conto».

A nulla sono valse le proteste civili e le trattative con il Comune attraverso l’assessore alle Politiche sociali Laura Baldassare: ormai avviliti i rifugiati sudanesi stanchi e avviliti hanno spiegato che andranno a ingrossare il numero dei tanti migranti presenti alla Stazione Termini, in una terra di nessuno sempre più desolante.

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