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Tornano a vivere, grazie a un progetto Codacons altamente tecnologico, le opere d’arte di Abruzzo, Marche, Lazio e Umbria intaccate dai recenti eventi sismici che hanno colpito il centro Italia.
L’8 gennaio scorso è stata presentata a Roma, presso lo stadio di Domiziano, una mostra itinerante che, attraverso l’ausilio delle foto autostereoscopiche, ha portato in formato reale le opere d’arte intaccate dai numerosi terremoti del Centro Italia. Il progetto, approvato dal MiBACT, è pensato proprio per mostrare quanto di buono è stato realizzato e, soprattutto, per mettere in luce quanto ancora c’è da fare. Affinché il Paese non dimentichi le popolazioni e i territori colpiti dalla sciagura, è fondamentale tener sempre alta l’attenzione sulle tematiche post-sisma. La mostra ultra-tecnologica si muove anche in questo senso: un museo virtuale in 3D che, ponendo al centro del suo interesse la valorizzazione del patrimonio culturale ferito dal terremoto, promuove i territori del cratere.
I recenti eventi sismici, infatti, hanno intaccato pesantemente molti beni d’interesse storico-artistico minando, di conseguenza, l’identità culturale delle zone colpite dalla calamità naturale. Sebbene molto sia stato fatto – si parla di oltre 30 mila beni immobili recuperati – rimane ancora lunga la strada da percorrere per salvare quanto lesionato.
Nel corso della conferenza stampa dell’8 gennaio, è stata presentata anche la prima opera salvata: il Crocifisso del XIV secolo proveniente dalla Chiesa di Santa Maria del popolo a Preta, frazione di Amatrice (RI). Grande l’entusiasmo espresso dalle istituzioni e dalla cittadinanza presente. Permane dunque una grande fiducia nell’attività di restauro che, siamo certi, col tempo saprà restituire a tutte le meraviglie artistiche danneggiate dal sisma il loro antico splendore.
Nasco un piovoso giovedì di giugno con l’idea di osservare il mondo dei “grandi”. Benché l’indagine mi diverta molto, rimango stupita da alcuni errori commessi dagli adulti che stridono fortemente con quell’aria da “so tutto io”. In quanto giovane donna, la prima campagna che decido di abbracciare è quella contro la discriminazione sessuale: con una sensibilità fuori dal comune, alle elementari fondo l’illustre Club delle femmine e ottengo, ad esempio, la precedenza nell’uscita da scuola rispetto ai maschietti. Approdo nel periodo adolescenziale con le idee confuse, man onostante tutto sopravvivo ai brufoli e anche al liceo classico. Per l’università non ho dubbi: scelgo Lettere, mio padre ancora piange, ma avevo deciso: avrei fatto la giornalista. Ogni volta che scrivo la parola «giornalista» risuona nella mente la voce di una mia zia che aggiungeva con voce litanica: «che per la fame perde la vista». Poco male mi dicevo: cecata lo sono sempre stata e affamata, seguendo un celebre discorso di Steve Jobs, volevo proprio esserlo. Poi mi imbatto nella filologia ed è amore dal primo istante: pochi sembrano capirla mentre io m’immergo tra gli stemmata codicum, errori e varianti. Ricostruire la lezione originale mi diverte come poche cose al mondo. Ora vivo nel dubbio: giornalista o filologa? Nell’attesa di trovare dentro di me la risposta, da settembre del 2017 lavoro per “Felicità Pubblica”.
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