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Eccoci pronti a celebrare una nuova Pasqua.
Dopo quelle dei due anni precedenti, credevamo con grande ottimismo che quella del 2022 sarebbe stata finalmente un’occasione di rinascita, e non solo nel senso più religioso possibile.
Da 25 lunghissimi mesi, ormai, sognano di veder “risorgere” l’economia, la vita sociale, la salute, la speranza nel futuro che purtroppo la pandemia ha cancellato, o quanto meno offuscato, in ogni parte del Pianeta. Dopo ogni piccolo barlume di luce, siano ripiombati nel tunnel che, in alcuni casi, è stato addirittura più buio del precedente. Pian piano abbiamo cominciato allora a fare i conti con l’incertezza e ad abituarci ad essa, inserendola di diritto tra le costanti della nostra vita. Abbiamo iniziato a vivere la vita senza guardare troppo lontano, senza pianificare a lunga distanza, dimenticando le vecchie abitudini e, meccanicamente, assimilandone di nuove.
Bisogna imparare a convivere con il virus, ci dicevano. E noi a poco a poco lo abbiamo fatto, anche grazie ai vaccini e alla clemenza delle nuove varianti. Non sapevamo, però, che il futuro ci avrebbe prospettato un nuovo schiaffo in faccia: la guerra in Ucraina. Certo, il mondo è pieno di conflitti che non dobbiamo dimenticare, ma questa volta le bombe sono arrivate davvero troppo vicine a noi, costringendoci a fare i conti con una nuova belva, altrettanto imprevedibile, seppure di diversa origine. Anche questa volta ci siamo rimboccati le maniche per non far mancare la nostra accoglienza ai profughi e per contribuire, nel nostro piccolo, ad alleviare le sofferenze di chi scappava da casa.
Ma per una piccola percentuale di ucraini accolti, quanti ancora sono a rischio di finire sotto le bombe? Quanti sono già morti? Quanti subiscono violenze, soprusi, crimini che al solo pensiero manca il respiro? Ma soprattutto, mi chiedo, quanto ancora queste immagini che oggi ci sconvolgono, davanti alle quali a volte non riusciamo a trattenere le lacrime, continueranno a sortire questo effetto?
Non rischiamo forse che, per autodifesa, proprio come abbiamo già fatto con il Covid, cominceremo ad abituarci ad esse e impareremo a convivere con questa guerra che ci è esplosa alle porte di casa? Se ciò che dico vi sembra follia, provate a pensare allora a cosa provate quando scorrono sul vostro televisore le immagini di qualsiasi altro conflitto nel mondo e cosa quando le stesse immagini riguardano Kiev, Mariupol, Kherson. No, non possiamo permettercelo. La guerra non deve diventare un’abitudine. Dobbiamo continuare a invocare la pace con tutte le nostre forze, a pretendere che il suono delle sirene anti-bombardamento torni a lasciar spazio a quello delle campanelle delle scuole. Che gli ucraini facciano le valigie solo per andare in vacanza. Che il freddo dei bunker lasci spazio al caldo delle scampagnate di primavera. Che il pianto dei bambini torni ad essere solo quello dei capricci e non della paura.
Eccoci pronti a celebrare una nuova Pasqua, dicevamo.
Ieri Gesù è morto ma, niente paura perché, come cantava Guccini, “noi tutti ormai sappiamo che se Dio muore è per tre giorni e poi risorge”. Sicuramente risorgerà anche quest’anno, e di questo i credenti non hanno alcun dubbio. La mia speranza è che insieme a lui, molto presto, risorgano anche la speranza, la pace, la libertà di un popolo oppresso. Perché noi tutti ormai sappiamo che i russi e gli ucraini stanno morendo ogni giorno e loro, purtroppo, tra tre giorni saranno ancora morti.
Buona Pasqua
Il direttore
Sono nata ad Avezzano (L’Aquila) sotto il segno dell’acquario, il 18 febbraio 1981, e dal 2009 vivo a Montesilvano (Pescara). Socievole, chiacchierona e curiosa dalla nascita, ho assecondato questa naturale inclinazione laureandomi a 24 anni in Scienze della Comunicazione a Perugia e scegliendo il giornalismo come ragione di vita prima ancora che come professione. Dopo diverse esperienze come giornalista di carta stampata e televisiva, dal 2012 mi occupo di cronaca per il quotidiano abruzzese il Centro, oltre a curare diversi progetti come freelance. Tra le mie più grandi passioni, oltre alla scrittura, ci sono i viaggi, la fotografia e il cinema, che nel 2011 mi hanno portato a realizzare, come coautrice, un documentario internazionale sulla figura della donna nell’area del Mediterraneo. Dall’estate 2015 ho il privilegio di dirigere il portale Felicità pubblica. Indipendente, idealista e sognatrice, credo nella famiglia, nell’amore, nell’amicizia e nella meritocrazia e spero in un futuro lavorativo migliore per i giovani giornalisti che, come me, preferiscono tenere i sogni in valigia piuttosto che chiuderli in un cassetto.
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