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È inutile cercare di svegliarsi, perché non è un sogno: dal 15 agosto la bandiera bianca con una scritta nera, orgoglio degli studenti islamici, i Talebani, sventola sul pennone del palazzo presidenziale di Kabul, in Afghanistan.
Il palazzo – da cui la mattina era fuggito il presidente Ashraf Ghani – è stato consegnato ufficialmente ai Talebani, da tre funzionari governativi, come ha mostrato la televisione al Jazeera con immagini in diretta. Tutto ciò è avvenuto per le dichiarazioni del presidente USA Joe Biden sul ritiro delle truppe statunitensi dal Paese, nella certezza che i Talebani ci avrebbero messo mesi per riconquistare il Paese. Cosa che invece è avvenuta in circa 10 giorni.
Un responsabile dei Talebani (come riportato da più fonti) ha detto che «non c’è stato alcuno spargimento di sangue durante il passaggio di consegne» e che «una consegna pacifica delle strutture del governo è in corso in tutto il Paese». Infatti un portavoce e negoziatore talebano ha dichiarato all’Associated Press che il gruppo militante sta tenendo colloqui volti a formare un governo islamico aperto e inclusivo in Afghanistan. Suhail Shaheen ha parlato con l’AP dopo che i talebani hanno invaso la maggior parte del Paese in pochi giorni e si sono spinti infine nella capitale Kabul, mentre gli Stati Uniti si affrettavano a ritirare diplomatici e altri civili.
Entro sera è stato proclamato il nuovo Emirato Islamico Afgano, con l’incarico ad interim al Mullah Abdul Ghani Baradar ed è stata dichiarata la Sharia, la legge islamica.
Eppure, nonostante le promesse di non violenza, a Kabul si sono sentite esplosioni e spari ed è la Ong Emergency – presente da tempo nel Paese – a dare le prime notizie con un tweet: «Ricevuti circa 80 feriti. In questo momento il nostro ospedale è pieno, abbiamo aggiunto 13 letti in più e possiamo prendere solo i casi più gravi: i pazienti che necessitano di cure urgenti salvavita. #Afghanistan».
Dal canto loro, anche Medici Senza Frontiere cercano di negoziare con tutte le parti in conflitto, per consentire ai loro team di fornire assistenza a tutti coloro che avessero bisogno.
Sta di fatto che improvvisamente l’aeroporto di Kabul è diventato il punto cruciale della capitale afgana e infatti la ricerca di voli per lasciare il Paese ha gettato lo scalo nel caos. La Bbc ha riferito di un vero e proprio assalto alla zona da parte di cittadini afghani. La gente e’ stata vista correre verso gli aerei sulla pista, secondo i racconti dei testimoni oculari e in realtà ci sono pochissime persone rimaste per il personale della compagnia aerea e per i banchi dell’immigrazione. Tutti i voli commerciali sono stati sospesi, solo i voli militari sono autorizzati. Non è quindi stato un caso se un Cargo americano ha imbarcato ben 640 persone (normalmente ce ne stanno 100) portandole fuori dal Paese.
A questo si aggiungono ora scene strazianti di madri che cercano di porgere le proprie bambine a soldati americani al di là del filo spinato che circonda l’aeroporto, chiedendo loro di portarle in salvo con sé. Ecco il dramma delle donne afgane che sanno bene come si prospetta il loro futuro: burqa obbligatorio, segregate in casa, niente studi e trattate come oggetti, nonostante le continue rassicurazioni dei Talebani che spiegano come a nessuna sarà torto un capello e che le donne al governo ci rimarranno. Parole, non ci crede nemmeno chi le pronuncia. E saremmo sciocchi a crederlo noi occidentali, dopo che abbiamo occupato il Paese per decenni e stiamo lasciando tutto alle nostre spalle.
Tanto per non smentirci, per il momento, i Talebani hanno cominciato il loro mandato pronunciando una fatwa precisa: stop alle classi miste nell’Università di Herat. Come volevasi dimostrare.
Sono nata a Milano il 3 giugno 1957 da genitori piemontesi. Mi sento però a tutti gli effetti milanese perché amo profondamente la mia città. Ho frequentato il Liceo Classico Omero, percorso di studi che rifarei senza alcuna remora. Amo tutta la letteratura e tutti i libri che siano degni di chiamarsi tali e possiedo una notevole libreria in casa, tant’è che ho fatto rinforzare i pavimenti.
Ho svolto nel corso degli anni praticamente tutti i lavori inerenti ad aziende di commercio alimentare, dall’import alla contabilità, alla conoscenza dei prodotti.
Sono poi passata a interessarmi di economia e finanza ma le mie passioni rimangono quelle umanistiche, in particolare la Storia. Mi piace molto scrivere, attività che ho sempre svolto con molta passione.
Adoro tutta la musica, da quella classica a quella contemporanea, da quella popolare a quella cantautoriale.
Mi diverto a cucinare i piatti della tradizione e, ahimè, oltre a cucinarli, li mangio.
Mi piacciono le sfide e amo confrontarmi con gli altri, per questo sono contenta di collaborare con Felicità Pubblica che me ne dà l’opportunità…
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