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Coprifuoco: perché si dice proprio così?

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In questi ultimi mesi abbiamo, nostro malgrado, dovuto familiarizzare con il termine coprifuoco, una parola che sembrava ormai dimenticata o che sentivamo pronunciare solo dai nostri nonni nei racconti di guerra. Ma da dove proviene questa parola?

La prima definizione di “coprifuoco” l’abbiamo durante il Medioevo quando le case, fatte di legno, avevano un foro dal quale far fuoriuscire il fumo del fuoco accesso all’interno. Questo fuoco doveva essere spento di notte, e quindi coperto con lamiere di metallo, per evitare che si provocassero incendi. A quei tempi esistevano le torri campanarie che davano in segnale per il “coprifuoco” appunto.

Gli inglesi coniarono il termine curfew dal francese couvre-feu (copri il fuoco) durante il regno di Guglielmo il Conquistatore, che aveva imposto di spegnere i fuochi nelle case alle otto di sera. Altre fonti fanno risalire la legge sul coprifuoco a re Alfred, che impose questa nell’872 a Oxford per evitare i roghi.

Il divieto di tenere accesa qualsiasi luce fu abolito nel 1100 da Enrico I, ma rimase l’abitudine di suonare una campana alle venti. Torri campanarie sono ancora presenti nel castello di Windsor e nella Torre di Londra. Enrico VIII ne aveva ribadito l’usanza.
L’ufficio del commercio britannico ripristinò questa misura nel 1918, chiudendo locali e ristoranti e spegnendo le luci per gestire la crisi del carbone e risparmiare il gas per l’illuminazione.

Il primo vero coprifuoco, con il significato che conosciamo noi, però risale all’occupazione nazista di Parigi (1940-44) quando le città erano disseminate di sirene anti bombardamento. Il coprifuoco dalle venti alle sei del mattino è stato inaugurato nel giugno del 1940: nelle strade parigine venivano spente le luci e venivano schermate le finestre con panni scuri per non dare all’aviazione punti di riferimento. Questo durò fino al 1944 quando avvenne la liberazione di Parigi.

In Italia invece, l’ultimo coprifuoco venne istituito, durante lo stato d’assedio, il 26 luglio 1943, dopo la caduta di Mussolini, dal maresciallo Badoglio. Vennero chiusi locali pubblici e centri sportivi, teatri e cinema dalle ventuno alle cinque del mattino. Non si poteva circolare né a piedi, in bicicletta o con altro mezzo, a meno che non si avevano delle motivazioni stabilite dalla legge. “Sono vietati gli assembramenti” aveva dichiarato il maresciallo a capo del Governo. A quei tempi il provvedimento non era consigliato ma obbligatorio.

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