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Storie egiziane: Regeni, Zaki e la Legion d’onore restituita

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Sono trascorsi quasi cinque anni dall’assassinio di Giulio Regeni, il ricercatore italiano dell’Università di Cambridge torturato e ucciso in Egitto nel gennaio del 2016. Da allora, anche noi di Felicità Pubblica, che abbiamo particolarmente a cuore il tema dei diritti umani, abbiamo aderito alla campagna promossa da Amnesty International inserendo sull’home page del nostro portale un banner giallo con la scritta “Verità per Giulio Regeni”. Ad ogni restyling e modifica della linea grafica della testata non abbiamo mai avuto dubbi sul fatto che quell’appello non sarebbe sparito dal nostro sito fino alla fine di questa battaglia che da anni la famiglia Regeni e diverse associazioni stanno portando avanti tra mille difficoltà.

E’ per questa ragione che in queste ultime settimane stiamo seguendo con attenzione le novità legate al caso: dall’accusa di rapimento e omicidio rivolta dalla procura italiana contro quattro agenti della sicurezza nazionale del ministero dell’interno egiziano, alla comunicazione, da parte della procura della repubblica egiziana, che le indagini sull’incidente sono state “temporaneamente” chiuse e che i magistrati continueranno a seguire la pista della rapina. In una parola, nessuna collaborazione da parte dell’Egitto alle indagini italiane sul caso Regeni.

Una presa di posizione che ha indignato l’intero Paese, a cominciare chiaramente dai soggetti più coinvolti. «In questi 5 anni», hanno commentato i genitori di Giulio, «abbiamo subito ferite e oltraggi di ogni genere da parte egiziana, ci hanno sequestrato, torturato e ucciso un figlio, hanno gettato fango e discredito su di lui, hanno mentito, oltraggiato e ingannato non solo noi ma l’intero Paese. Oggi i procuratori egiziani hanno la sfrontatezza di “avanzare riserve” sull’operato dei nostri magistrati e investigatori e di considerare insufficienti le prove raccolte». Sulla tesi della rapina, inoltre, la famiglia di Regeni evidenzia come si tratti di «una assoluta mancanza di rispetto nei confronti non solo della nostra magistratura ma anche della nostra intelligenza». La famiglia continua, dunque, a chiedere il ritiro dell’ambasciatore italiano in Egitto, come già accaduto nel 2016 per volere del governo Renzi.

Come dicevamo, però, i genitori di Regeni non sono soli in questa battaglia e proprio in questi giorni la solidarietà e l’indignazione degli italiani sono passate attraverso gesti anche eclatanti.

Il primo a compierne uno è stato il giornalista Corrado Augias che nei giorni scorsi ha restituito all’ambasciata francese a Roma la Legion d’onore conferitagli in passato. Un gesto simbolico arrivato a seguito della consegna dello stesso riconoscimento al presidente egiziano Al-Sisi dal presidente francese Macron. In tanti, tra personalità politiche e non solo, hanno deciso di seguire l’esempio di Augias annunciando la riconsegna dell’onorificenza, dall’ex leader della Cgil Sergio Cofferati, alla consigliera della Corte dei Conti Rossana Rummo, passando per l’ex ministro Giovanna Melandri.

A prendere carta e penna e a scrivere una lettera al presidente Macron è stata invece Emma Bonino, insignita dello stesso riconoscimento e in merito al quale dichiara “ne sono stata onorata quanto oggi sono imbarazzata di trovarmi in simile compagnia”. Nel testo della senatrice, tra i passaggi chiave, si legge: “non può ignorare la situazione egiziana nella quale lo stesso destino è stato riservato a oltre mille Regeni, che hanno subito la stessa sorte del giovane italiano, spariti nelle carceri del regime, molti di essi senza accusa e senza processo” e ancora “ritengo che in ogni circostanza non ci si debba astenere dal richiedere ai governi di questi Paesi il rispetto dei diritti umani e dal condannare la loro violazione, soprattutto quando si traduce nell’assassinio di un innocente e in ogni caso di una persona che avrebbe avuto diritto a un arresto pubblico e a un processo giusto. A maggior ragione ci si dovrebbe astenere dall’onorarne e premiarne con alte onorificenze i Capi di Stato”.

Intanto, sempre dall’Egitto, proprio in questi giorni è arrivata un’altra notizia che ha gettato nello sconforto un altro studente creando disappunto nell’opinione pubblica: il giudice della terza sezione del tribunale antiterrorismo del Cairo ha deciso che lo studente egiziano Patrick Zaki dovrà restare in carcere altri 45 giorni. Lo studente egiziano dell’Università di Bologna è in carcere da febbraio con l’accusa di propaganda sovversiva e rischia fino a 25 anni di carcere per dieci post di un account Facebook, che la sua difesa considera ‘falso’, ma che ha consentito alla magistratura egiziana di formulare pesanti accuse di “incitamento alla protesta” e “istigazione a crimini terroristici”.

A parlare della sua situazione drammatica – che lo accomuna purtroppo a tanti altri detenuti – nei giorni scorsi è stato l’amico e attivista Amr Abdelwahab nel corso di una conferenza sui temi della libertà e dei diritti umani. “In questo momento Patrick sta trascorrendo il suo 309esimo giorno in custodia cautelare e insieme ad altre 60.000 persone”, ha ricordato, “è lasciato a marcire in uno dei luoghi più sudici del mondo: il sistema carcerario egiziano. Ma i detenuti di coscienza non sono numeri, bensì volti, nomi, esseri umani la cui unica colpa è aver osato sognare il cambiamento”.

Un cambiamento che probabilmente ha portato all’uccisione di Giulio Regeni, che sicuramente ha causato la morte di tanti altri attivisti e che auspichiamo vivamente possa continuare ad essere perseguito presto da Patrick Zaki, al quale esprimiamo la nostra solidarietà augurandogli di tornare presto a riassaporare la libertà.

Il direttore

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