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Amnesty International: rapporto 2019 sulle condanne a morte

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Come ogni anno Amnesty International – la nota Ong che si prende cura dei diritti umani – ha pubblicato un rapporto circa l’uso giudiziario della pena di morte da gennaio a dicembre 2019. Del precedente report per il 2018 avevamo scritto qui.

Nel report viene sottolineato che molti Stati del mondo non hanno fornito dati ufficiali e attendibili, come per esempio la Cina dove, come in Bielorussia e Vietnam, questi numeri sono considerati segreto di Stato. Inoltre, in particolare in Corea del Nord, Laos e Siria, le informazioni sono state praticamente nulle a causa di restrizioni governative o conflitti armati.

In particolare per quanto riguarda la Cina è dal 2009 che Amnesty ha smesso di pubblicare le stime sulle condanne a morte, specificando che i dati dei quali è possibile una conferma sono di molto inferiori a quelli reali, a causa di forti restrizioni all’accesso di informazioni.

Secondo il report della Ong, si evidenzia come il trend globale vada verso l’abolizione della pena di morte che è crudele, inumana e degradante. Ma viene anche registrato che alcuni Paesi stanno invertendo la tendenza.

Nel 2019 sono state almeno 657 le esecuzioni registrate, con una diminuzione del 5% rispetto all’anno precedente e questo – benché approssimativo – costituisce il numero più basso registrato negli ultimi dieci anni.

Viene rilevato che lo scorso anno il numero delle esecuzioni si è abbassato notevolmente in Egitto, Giappone e Singapore, mentre si è alzato in modo considerevole in Iraq, Arabia Saudita, Sud Sudan e Yemen. In Iran, invece, le esecuzioni rappresentano il 38% di tutte quelle eseguite nel mondo, con 251 condanne eseguite, numero che resta stabile e ai minimi per quel Paese.

Per quanto nessun paese abbia abolito la pena di morte nel 2019, sono da evidenziare segnali positivi, che dimostrano come il desiderio di mantenimento della pena si stia affievolendo in quei paesi che sono ancora lontani dall’abolirla. Negli Stati Uniti d’America, il New Hampshire è diventato il 21° stato ad abolire la pena capitale per tutti i reati. Il governatore della California, lo stato con la più alta percentuale di detenuti nel braccio della morte, ha istituito una moratoria sulle esecuzioni rilasciando una dichiarazione: «Uccidere intenzionalmente un’altra persona è sbagliato e, nella veste di governatore, non supervisionerò l’esecuzione di nessun individuo. Sotto tutti i punti di vista, il nostro sistema capitale si è rivelato un fallimento. È stato discriminatorio nei confronti di imputati mentalmente infermi, afroamericani o scuri di carnagione, o che non possono permettersi una rappresentanza legale dispendiosa. Non ha portato vantaggi alla pubblica sicurezza e non ha nessuna utilità come deterrente. Ha disperso milioni di dollari dei contribuenti. Ma più di tutto, la pena di morte è assoluta e, nel caso di un errore umano, è irreversibile e del tutto insanabile».

Inoltre Kazakistan, Federazione russa, Tagikistan, Malesia e Gambia hanno continuato a osservare una moratoria ufficiale sulle esecuzioni. Le Barbados hanno eliminato dalla Costituzione la pena di morte con mandato obbligatorio e, infine, interventi positivi o pronunce che potrebbero preludere a un’abolizione totale, si sono avuti nella Repubblica Centrafricana, Guinea Equatoriale, Gambia, Kazakistan, Kenya e Zimbabwe.

Amnesty, in ogni caso, non smetterà mai di lottare contro la pena di morte e si batterà come sempre a favore dei diritti umani.

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