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Un pomeriggio con Shakespeare al Globe Theatre di Roma

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Un pomeriggio al Globe Theatre Silvano Toti di Roma per assistere alla tragedia di Shakespeare Giulio Cesare. Di questo vorrei parlarvi. Nulla di straordinario, quindi. Nessuna novità assoluta. Il Globe Theatre di Roma opera da oltre 15 anni. Eppure non so quanti lo conoscano e, soprattutto, quanti abbiano avuto l’occasione di assistere a uno spettacolo in questo particolare spazio. Un’esperienza che consiglio vivamente ai nostri lettori.

Ma procediamo con ordine. Siamo al centro di Villa Borghese, di fronte a Piazza di Siena, scenario dei grandi eventi dell’equitazione italiana e internazionale. In un avvallamento del terreno è stato costruito il Globe Theatre, sulle forme del mitico teatro elisabettiano. Interamente in legno, pianta circolare con un diametro interno di 23 metri ed esterno di 33, 10 metri di altezza, 1206 posti, 415 nella platea (posti in piedi), 302 nel primo ordine di balconata, 374 nel secondo e 115 nel terzo. La struttura è stata realizzata nel 2003 dalla Fondazione Silvano Toti, imprenditore e mecenate romano, in occasione dei festeggiamenti dei 100 anni di Villa Borghese. Da sempre la direzione artistica è affidata a Gigi Proietti. Programmazione rigorosamente shakespeariana, da metà
giugno a metà ottobre.

Il solo ingresso provoca una prima emozione. Niente stucchi dorati, velluti, broccati, affreschi, sontuose poltrone, tipici dei teatri che hanno visto la luce tra Settecento e Ottocento. Platea sotto il cielo, semplici strutture in legno ruvido, sedute essenziali e una sensazione di grande prossimità tra spettatore e palco.

Ieri, come accennavo, Giulio Cesare, produzione Politeama, regia di Daniele Salvo. Ho scoperto solo più tardi che in passato il regista si è già cimentato con altri grandi testi shakespeariani quali Re Lear con Ugo Pagliai, Otello e La Tempesta, con Giorgio Albertazzi nel ruolo di Prospero. Classico e contemporaneo a un tempo l’allestimento. “I costumi fanno riferimento ad un’epoca fascista contaminata da elementi di classicismo”, si legge nella nota di presentazione. Più in generale il regista intende alludere alla tentazione, sempre presente nella storia italiana, di adulare e seguire passivamente il potente di turno. Roma è buia, tetra, “attraversata da temporali furiosi, lampi di luce improvvisa, deboli fiaccole e bracieri, simbolo del profondo buio interiore in cui sono calati tutti i personaggi del Giulio Cesare”. Il testo, tuttavia, è quello originale, rispettato in ogni suo passaggio, con passione filologica. Sulla scena, “con l’ausilio di maschere di lattice che riproducono perfettamente le fattezze umane, 28 attori rivestono i 45 diversi ruoli del Giulio Cesare”. Tre ore davvero intense ed emozionanti.

La vicenda è nota. Bruto, figlio adottivo di Cesare, si lascia coinvolgere nella cospirazione da Cassio e altri senatori romani per evitare la trasformazione della repubblica in monarchia. Cesare, benché avvisato dai sogni della moglie Calpurnia e dai sacrifici dei sacerdoti, alle idi di marzo si reca in senato e viene ucciso. Al suo funerale, l’orazione di Marco Antonio, muove il popolo contro i cospiratori. Bruto, mentre si prepara alla guerra contro Antonio e Ottaviano, è perseguitato dal fantasma di Cesare che gli annuncia la sconfitta. Così sarà a Filippi. Bruto e Cassio decidono di suicidarsi piuttosto che essere fatti prigionieri. Per paradosso, la tragedia si conclude con le parole di Marco Antonio che loda l’onestà di Bruto: ha ucciso Cesare non per odio o invidia ma per amore di Roma e della libertà.

Shakespeare guida lo spettatore in una riflessione sul potere, senza fare sconti a nessuno. Cesare è l’emblema del potere, la sua raffigurazione fisica e, nella versione di Salvo, questo aspetto è particolarmente sottolineato. Ma il personaggio carismatico copre le sue fragilità con la rappresentazione dell’onnipotenza, scivolando nell’arbitrio e nella crudeltà. Il popolo lo osanna, i senatori si genuflettono e lo incensano, nessuno osa contraddirlo. Marco Antonio, fedele adulatore, prospera all’ombra di Cesare. Cassio e Bruto rappresentano la resistenza al potere che travalica i limiti consentiti. Ma anche tutte le sue contraddizioni. In Bruto l’ansia di giustizia e di libertà convivono con l’insicurezza e la paura del potere. In Cassio trovano spazio rabbia, invidia, violenza.

Altro grande protagonista il popolo, inconsapevole strumento della lotta per la supremazia. Dapprima adulatore della forza incontrastata di Cesare, poi a fianco di Bruto rivendicando libertà e giustizia per Roma. Infine totalmente succube delle parole di Antonio e delle sue false lusinghe. E infine gli dei e il destino. Incombono su tutti, tutti condizionano, di tutti si fanno beffe.

Riferimenti all’attualità? Nell’allestimento di Daniele Salvo non mancano, come esplicitato nella nota di presentazione. E tuttavia non è lì il fascino della tragedia. Shakespeare indaga l’animo umano nei suoi meandri più profondi e analizza il potere e le sue dinamiche con una tale forza che in nessun modo può essere ridotto al “qui e ora”. Non c’è denuncia, c’è analisi, riflessione, passione, sentimento. Shakespeare svela il potere e i suoi meccanismi. A ciascuno di noi trarne le conseguenze.

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