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A proposito di salario minimo

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Proviamo a fare chiarezza sul salario minimo. In linea di principio chi può dichiararsi contrario?
Sembra una misura di civiltà finalizzata a ridurre lo sfruttamento del lavoro, soprattutto in alcuni ambiti dove la capacità contrattuale del lavoratore è più bassa o addirittura inesistente. Allora, come sostiene il M5S, si tratta di una misura di civiltà, peraltro già in vigore in molti Paesi europei, che imporrebbe uno stop definitivo allo scandalo degli stipendi da 500/600 euro, cancellando forme dissimulate di schiavitù? Forse la questione è più complessa. Tentiamo, quindi, di fare un po’ di ordine.

La paternità politica del tema è senza dubbio del M5S. L’atto ufficiale il Disegno di legge 658/2018 della senatrice Catalfo. Il testo introduce il concetto di “retribuzione complessiva proporzionata e sufficiente”. Di cosa si tratta? Di un “trattamento economico complessivo, proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato, non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro”. In ogni caso tale trattamento non può essere inferiore a 9 euro all’ora al lordo degli oneri contributivi e previdenziali. Tale previsione retributiva si applica a tutte le forme di lavoro, comprese le
professioni intellettuali per le quali è necessario l’iscrizione ad Albi professionali, le attività svolte in qualità di componenti dei organi di amministrazione o di controllo, le prestazioni rese per associazioni sportive dilettantistiche.

A fronte dell’iniziativa 5 Stelle anche il PD è sceso in campo con il senatore Nannicini che ha depositato, sempre in Senato, il ddl 1132/2019. Punti di partenza, come si legge nella Relazione, sono “la giusta retribuzione”, rinvenibile nella disciplina dei contratti collettivi nazionali di lavoro, e “il trattamento minimo tabellare” stabilito dal CCNL. Cosa fare negli ambiti non coperti dai contratti collettivi? Introdurre “il salario minimo di garanzia quale trattamento economico minimo che il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore a cui si applica la disciplina del lavoro subordinato”. Tuttavia la determinazione del salario minimo è affidata a una Commissione
paritetica (sindacati e datori di lavoro) istituita presso il CNEL. Si tratta di un iter che tende ad acquisire il consenso delle parti sociali ma che, certamente, ha una notevole complessità procedurale e tempi lunghi.

Cosa ne pensano i Sindacati? Il salario minimo viene giudicato una scorciatoia non priva di rischi tanto per il ruolo degli stessi Sindacati quanto per la tutela del lavoro. Qualcuno teme che la sua introduzione possa rappresentare la morte della contrattazione collettiva. Altri pensano che nel medio periodo si determinerebbe un abbassamento delle retribuzioni poco al di sopra del salario minimo. Maurizio Landini afferma: “nel nostro Paese la situazione contrattuale è un po’ diversa dagli altri (Paesi ndr), il livello di copertura dei contratti nazionali è il più elevato, e supera l’80-85 per cento dei lavoratori”. “Per ragionare su questa materia, ossia di come tutelare salari e diritti, e di come determinare condizioni per aumenti salariali, la copertura dei contratti deve essere estesa al 100 per cento e a tutte le forme di lavoro”. In conclusione, “la paga oraria è importante, certo. Ma tutti i contratti stabiliscono diverse paghe orarie. Ma nei contratti nazionali ci sono anche le maggiorazioni su notti e festivi, il Tfr, il diritto alla malattia, la previdenza integrativa e molto altro”.

Infine va segnalata la posizione dell’ex presidente dell’Inps Tito Boeri. “Introdurre un salario minimo in Italia è un’ottima idea. Ma la decisione non è tanto sul metterlo o meno, quanto sul livello”. Infatti secondo l’Inps attualmente il 45% dei lavoratori del Sud ha retribuzioni sotto i 9 euro orari. Continua l’economista: “In Italia con differenze così forti tra aree geografiche, bisogna partire con un salario minimo basso, pensato sui livelli salariali del Meridione. E poi, se è il caso, le Regioni possono pensare a indicare salari minimi più alti. Insomma, come funziona negli Stati Uniti, dove c’è un salario minimo federale e uno a livello statale”. In altri termini viene affacciata l’ipotesi di un salario minimo regionale correlato al potere di acquisto effettivo (indice regionale del costo della vita) e al livello di produttività territoriale. Strada assai impervia ma che suggerisce di non mettere la testa sotto la sabbia e, finalmente, fare i conti con le diverse realtà del Paese.

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