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“L’invenzione occasionale” di Elena Ferrante

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Per me che sono un’appassionata dei libri e in particolare ho amato tanto tutti quelli di Elena Ferrante, è stato naturale prenotare il libro uscito l’8 maggio scorso dal titolo L’invenzione occasionale, edito da Edizioni E/O.

Premetto che questo libro non è esattamente una novità né un’anteprima (anche se è stato presentato al Salone del Libro di Torino in anteprima mondiale) dal momento che raccoglie gli editoriali che la nota scrittrice ha pubblicato settimanalmente con il quotidiano The Guardian, tutti scrupolosamente tradotti nella lingua di Albione da Ann Goldstein e magistralmente illustrati da Andrea Ucini.

Le illustrazioni a colori sono anche nel nuovo libro, un volumetto molto curato, con carta patinata resistente e caratteri tipografici curatissimi, quasi fosse un piccolo gioiello.

E personalmente sono convinta che sia un gioiello di quelli preziosi ma che indossi tutti i giorni e che sbirci con la coda dell’occhio, magari mentre sei in tram o nel taxi che ti accompagna in centro città.

Vari sono gli argomenti e i voli, pindarici o meno, della scrittrice che a volte portano lontano, altre fanno piombare a piedi uniti sulla terra e l’impatto non sempre è dei più felici. Gli argomenti trattati di volta in volta sono tra i più disparati, ma ne ricorrono alcuni particolarmente cari all’autrice partenopea, come la scrittura, il valore delle parole e la specificità dei termini, le donne con i loro diritti e le loro lotte, la figura della madre e ancora il ripudio di ogni tipo di violenza, compresa quella verbale.

Intanto, già nell’articolo scritto per introdurre il libro, dal titolo Urti, Ferrante spiega come sia nata quest’esperienza nuova per lei che ha sempre scritto romanzi e afferma: «Insomma, è stato un esercizio nuovo, ogni volta calavo il secchio dentro qualche fondo scuro della mia testa, tiravo su una frase e aspettavo con apprensione che seguissero le altre». Ed ecco che davanti agli occhi appare Raffaella (Lila), impersonata dalla piccola Ludovica Nasti, che spiega a Lenù (Elisa Del Genio) che le parole giuste sono tutte nella sua testa e che, appunto, basta calare un secchio e tirarle fuori. Ferrante ne fa un’immagine viva attraverso i vocaboli che sceglie e infatti ognuno di noi immagina di possedere il proprio secchio e il pozzo dentro la testa e, nello stesso tempo, sogna di avere parole appropriate e vivide come quelle dell’autrice.

Impressiona, infatti, la scelta accurata di alcune definizioni che determinano la riflessione che l’autrice stessa propone, oppure che inducono il lettore a fermarsi a pensare. Una Ferrante quasi intima quella che ci arriva attraverso queste pagine, che racconta anche di sé e che appare a tratti persona saggia, matura e posata ma in altri casi si trasforma in una giovane piena di vita e di curiosità, mai veramente appagata dalla fecondità delle proprie espressioni e alla ricerca di una propria perfezione, con una sua convinzione personale di non riuscire probabilmente a raggiungerla.

Inoltre la nostra lingua madre, più dell’inglese, appare piena di sfumature e rivela molto di più il legame di Ferrante con il nostro Paese, sempre pieno di contraddizioni ma pur sempre amato.

Un libro che si legge in un’oretta, perché un articolo tira l’altro. Ma appena finito di leggere, si ricomincia daccapo, per scovare tra le righe le perle che ci sono state regalate. E poi, finito la seconda volta, può capitare di cercare ancora e finire per trovare sempre qualcosa su cui riflettere e gioire o persino dissentire. E poi magari ancora, pezzo per pezzo, parola per parola.

 

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