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La storia di Fiore Manzo, rom italiano plurilaureato

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“Non guardarmi con occhi mielati se poi dietro il tuo beffardo buonismo si nasconde una impavida impronta di razzismo. Tu mi usi e poi mi getti come un Fiore appassito”

Quanto riportato è parte di una poesia scritta da Fiore Manzo, un plurilaureato di 25 anni. Fiore è un ragazzo rom, italiano da decine di generazioni, anzi, come tiene a specificare con orgoglio «italiano da 600 anni».

Nato a Cosenza, nel campo rom di via Gergeri, parla anche il calabrese, ha una laurea in Scienze dell’educazione e una seconda in Scienze Pedagogiche per l’interculturalità. Il suo sogno è l’insegnamento di filosofia o scienze umane alle scuole superiori e farà certamente di tutto per riuscire ad attuarlo.

Ha affermato con il suo bellissimo sorriso: «E’ difficile abbattere i pregiudizi della gente. Perché alla gente appaio così strano? Non sono l’unico rom laureato, ce ne sono tantissimi».

Fiore conosce praticamente tutto della storia della propria etnia e spiega paziente: «I rom sono uno dei principali gruppi etnici della popolazione di lingua romanì, originaria dell’India del nord. La parola rom deriva dal sanscrito dom, che significa essere umano». Ma prosegue: «Fa male dover spiegare ogni volta che i rom nei campi sono una piccola minoranza, tutti gli altri vivono in case normali. E’ vergognoso vivere nei campi, per me è stato difficile crescere in un campo, però vanno fatte politiche serie, dobbiamo stare attenti all’uso delle parole per non creare una guerra tra ultimi e penultimi».

E ancora, ma sempre con il sorriso sulle labbra ricorda i blitz dei poliziotti, che entravano in massa con un mandato di perquisizione, i carabinieri col mitra in mano. Quei controlli servivano per scovare presunti delinquenti all’interno del campo. «Certo che c’erano delinquenti – sostiene – ma la marginalità crea ovunque devianza, succede in tutti i quartieri del mondo».

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