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1. Un popolo poco e mal conosciuto

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A partire da oggi, e attraverso un appuntamento quotidiano di sei puntate, vi proponiamo degli interessanti contributi che sono il frutto del lavoro della Fondazione Romanì Italia. È Il progetto Romanipè 2.0, che ha lo scopo di suscitare riflessioni sulla costruzione di un nuovo approccio culturale, politico e metodologico intorno alla popolazione romanì.

Nell’immaginario collettivo, le comunità romanès sono considerate in due modi totalmente opposti: da un lato una minaccia sociale, ladri, sporchi, troppi, extracomunitari, rapitori di bambini, persone che in senso dispregiativo sono chiamati zingari; dall’altro, oggetto di una visione poetica che li vede come ultimi degli uomini liberi in una società sempre più piena di costrizioni. Pregiudizi e stereotipi, conseguenze di credenze popolari, che troppo spesso si riflettono nei mezzi di comunicazione di massa che – evidenziando per natura accadimenti negativi e problematiche – contribuiscono al perdurare della discriminazione verso i rom e alla diffusione di odio e intolleranza. È necessario contrastare i pregiudizi diffondendo e promuovendo la conoscenza, a partire dal linguaggio. I termini zingari e nomadi hanno un valore dispregiativo: non vanno usati, soprattutto dai media e della politica, perché miniano il confronto e la conoscenza della realtà.

Le origini delle comunità romanès si trovano in India. Da lì partirono, arrivarono, si fermarono per un certo tempo, partirono di nuovo: dall’India alla Persia, dalla Persia all’Armenia, dall’Armenia attraverso l’Asia Minore fino in Grecia, dalla Grecia nei paesi Balcanici, dai Balcani in tutti gli altri Paesi europei, dall’Europa al mondo. Dell’avventuroso viaggio non hanno lasciato documenti scritti. Solo la lingua, contaminandosi nel lungo percorso, racconta della storia travagliata delle comunità romanès. In Italia sono presenti da oltre 600 anni, ma ancora oggi rappresentano un popolo da scoprire. Non c’è al mondo altro popolo attorno al quale opinioni e giudizi si dividono: mitizzati e invidiati da una parte, disprezzati e perseguitati dall’altra. Per tanta divergenza di opinione c’è una spiegazione: un popolo misterioso, senza patria, senza terra, senza brama di terra e quindi senza guerre, usa la stessa parola per designare ieri e domani, perché per i rom conta solo il presente.

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