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Per le donne migranti una vita tremenda negli hotspot della Grecia

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La denuncia parte da Amnesty International: i campi profughi della Grecia, i cosiddetti hotspot per i migranti, sono molto pericolosi soprattutto per le donne. Infatti non sono più campi di identificazione e smistamento istituiti dall’Unione Europea, ma sono diventati grandi campi in cui i migranti devono soggiornare molto a lungo – in alcuni casi persino due anni – e le condizioni sono pessime.

Un rapporto , quello di Amnesty International, che si concentra proprio sulle voci di donne e ragazze  rifugiate nei cinque hotspot delle isole greche del mar Egeo (Lesbo, Chios, Samo, Lero e Kos) in cui alla fine di settembre vivevano più di 16.000 persone, nonostante la capienza totale massima sia di 6.438 persone. Da notare che dei 16.000 migranti rifugiati nei campi profughi, il 34% sono donne e di queste il 12% sono ragazze minorenni.

L’hotspot più grande è quello di Moria a Lesbo che risulta anche essere il più affollato: ci vivono più di 8.000 persone a fronte di una capienza massima di 3.100. Il campo è circondato da filo spinato, c’è una tendopoli per i pasti principali ed esiste un bagno ogni 70 persone; naturalmente succede che non ci sia acqua potabile per tutti e che ci siano infestazioni da ratti e insetti.

È purtroppo facile comprendere come sia dura la vita per tutti ma in particolare per le donne, esposte a molestie e violenze sessuali perché non protette adeguatamente. Non solo: non ricevono cure adeguate anche quando sono incinte, non ottengono facilmente assorbenti igienici e troppo spesso non ci sono interpreti donne con cui possano parlare dei propri problemi. Va da sé che manchi anche personale qualificato per aiutarle ad affrontare e superare i traumi subiti durante il viaggio per raggiungere il paese ellenico.

Ma tutte le isole indicate hanno hospot con problemi uguali: per esempio a Vial, nell’Isola di Chios, il campo ospita circa 2.200 persone, mentre la capienza massima sarebbe di 1.200. Tra loro si trovano circa 400 donne gravide e circa 600 minori; la maggioranza arriva da Paesi in stato di guerra come Siria (23%), Afghanistan (10%), Iraq (26%) e Palestina. Di questo campo ha dichiarato Alberto Maraldo di Mediterranean Hope: «L’hotspot, inaugurato nel 2015, su indicazione dell’UE, sorge all’interno di un complesso per lo stoccaggio e il riciclaggio dei rifiuti, a oltre 10 Km dal paese. I rifugiati condividono gli spazi con i camion della spazzatura che vanno e vengono, tra i miasmi che provengono dai cassoni carichi di rifiuti. Oltre 800 persone sono confinate in container, mentre 900 sopravvivono all’interno di semplici tende da campeggio, senza acqua calda, riscaldamento, con insufficiente elettricità e costantemente allagati dagli scarichi delle fognature».

Superfluo sottolineare che Amnesty International denuncia come negli hotspot della Grecia i diritti umani vengano costantemente violati e come ci si auguri che siano presto assunte decisioni per queste donne e questi migranti che hanno già provato sofferenze indicibili.

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