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Se vi invitassi a casa mia a prendere un caffè e una volta seduti sul divano vi dicessi che non posso più offrirvelo perché le mie tazzine sono tutte rotte, cosa pensereste? Nella migliore delle ipotesi, che sono una padrona di casa sprovveduta, nella peggiore che a casa mia non ci metterete più piede. Senza dubbio, pensereste che ho fatto una pessima figura.
La stessa che nei giorni scorsi ha fatto il nostro Paese, in mondo visione, annullando all’ultimo istante la tappa finale del Giro d’Italia prevista a Roma. Motivo della decisione? Le troppe buche nel manto stradale romano che rischiavano di mettere a repentaglio la salute dei ciclisti.
Ora, non è per gettare benzina sul fuoco o per fare della spicciola demagogia che voglio ricordare questo episodio. Ma perché è dall’analisi dei nostri errori che possiamo imparare a fare di meglio in futuro.
Tornando alla famosa competizione sportiva, seguita da milioni di appassionati di ciclismo in tutto il mondo, l’Italia ha fatto davvero una pessima figura o meglio – mi perdonino i nazionalisti – una figura all’italiana. Già me li vedo i nostri cugini d’Oltralpe alzare gli occhi al cielo, sbuffare e sussurrare a mezza bocca “Ah, les italiens!”. E che dire dei tedeschi, che senza mostrare la minima emozione avranno detto o pensato “Makkaroni!”. Più morbido e comprensivo, nel mio immaginario, è il giudizio degli spagnoli, che ridendo avranno comunque commentato “Los italianos han quedado muy mal”.
Ma questa figuraccia poteva essere evitata?
Prima di dare una risposta, proviamo a rispondere ad un altro paio di domande. Il Giro d’Italia è arrivato all’improvviso a Roma? Assolutamente no. Proprio come i miei ipotetici ospiti, la tappa nella Capitale era stata annunciata ed era attesa da diversi mesi. Seconda domanda: le buche nel manto stradale di Roma sono comparse nei giorni precedenti l’arrivo della carovana del Giro a causa di qualche calamità naturale o di una pioggia di meteoriti? Assolutamente no. Buche e sanpietrini – questi ultimi croce e delizia di residenti e turisti – nella città della Grande Bellezza non sono un segreto per nessuno, figuriamoci per gli amministratori capitolini, per gli uffici tecnici comunali e per gli organizzatori della competizione sportiva. Infine, un’ultima domanda: era davvero così difficile, in mesi e mesi di tempo, provvedere alla riparazione e predisposizione di appena 11 km di strada in vista di un appuntamento sportivo tanto importante? Anche in questo caso – ahimè – la risposta è: assolutamente no!
E allora, tornando alla prima domanda che ci siamo posti: questa figuraccia in mondo visione poteva essere evitata? La risposta – a mio avviso – è che non solo poteva, ma doveva essere evitata. Di chi è la colpa? Beh, anche in questo caso, da bravi italiani, abbiamo già iniziato con il balletto dello scaricabarile e forse alla fine salterà fuori che la colpa è stata dei ciclisti del Giro d’Italia che non sono stati abbastanza avventurosi da affrontare un percorso degno di una gara di enduro.
Il direttore
Vignetta di copertina: Freccia
Sono nata ad Avezzano (L’Aquila) sotto il segno dell’acquario, il 18 febbraio 1981, e dal 2009 vivo a Montesilvano (Pescara). Socievole, chiacchierona e curiosa dalla nascita, ho assecondato questa naturale inclinazione laureandomi a 24 anni in Scienze della Comunicazione a Perugia e scegliendo il giornalismo come ragione di vita prima ancora che come professione. Dopo diverse esperienze come giornalista di carta stampata e televisiva, dal 2012 mi occupo di cronaca per il quotidiano abruzzese il Centro, oltre a curare diversi progetti come freelance. Tra le mie più grandi passioni, oltre alla scrittura, ci sono i viaggi, la fotografia e il cinema, che nel 2011 mi hanno portato a realizzare, come coautrice, un documentario internazionale sulla figura della donna nell’area del Mediterraneo. Dall’estate 2015 ho il privilegio di dirigere il portale Felicità pubblica. Indipendente, idealista e sognatrice, credo nella famiglia, nell’amore, nell’amicizia e nella meritocrazia e spero in un futuro lavorativo migliore per i giovani giornalisti che, come me, preferiscono tenere i sogni in valigia piuttosto che chiuderli in un cassetto.
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