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A quanto pare non solo i pappagalli riescono a riprodurre suoni simili a parole umane. Da oggi a parlare come noi c’è anche l’orca Wikie: l’enorme mammifero marino di 16 anni, addestrato da tempo per replicare la voce umana.
Wikie vive nel Marineland Aquarium di Antibes, in Francia, e, grazie al suo sfiatatoio, ha imparato a replicare suoni simili a quelli umani. Le sue prime parole, registrate in un file audio diventato virale sul web, stanno letteralmente facendo il giro del mondo: tra i gorgoglii emessi saranno distinguibili “Hello”, “bye bye”, “one, two, three”.
Tutto ciò ha del sorprendente se si considera che l’anatomia vocale delle orche è totalmente differente dalla nostra e che l’imitazione, tratto distintivo della lingua parlata dall’uomo, è una vera rarità da trovare in altri animali.
I delfini e le balene beluga sono tra i pochi mammiferi in grado di copiare suoni di altre specie o tra loro. Alcuni uccelli possono imitare il linguaggio umano, in particolare i pappagalli, ma anche alcuni membri della famiglia di corvi.
Probabilmente tale abilità comunicativa dimostrata da Wikie è un perfezionamento derivato dall’esigenza delle orche di comunicare all’interno del branco, dove spesso si possono distinguere diversi timbri acustici. Wikie è però è in assoluto il primo animale della sua specie ad avere questa incredibile capacità e il dottor Jose Abramson, dell’università Complutense di Madrid in Spagna, ha detto che “conversazioni” di base con Wikie potrebbero un giorno essere possibili.
Altro che orca “assassina”!
Nasco un piovoso giovedì di giugno con l’idea di osservare il mondo dei “grandi”. Benché l’indagine mi diverta molto, rimango stupita da alcuni errori commessi dagli adulti che stridono fortemente con quell’aria da “so tutto io”. In quanto giovane donna, la prima campagna che decido di abbracciare è quella contro la discriminazione sessuale: con una sensibilità fuori dal comune, alle elementari fondo l’illustre Club delle femmine e ottengo, ad esempio, la precedenza nell’uscita da scuola rispetto ai maschietti. Approdo nel periodo adolescenziale con le idee confuse, man onostante tutto sopravvivo ai brufoli e anche al liceo classico. Per l’università non ho dubbi: scelgo Lettere, mio padre ancora piange, ma avevo deciso: avrei fatto la giornalista. Ogni volta che scrivo la parola «giornalista» risuona nella mente la voce di una mia zia che aggiungeva con voce litanica: «che per la fame perde la vista». Poco male mi dicevo: cecata lo sono sempre stata e affamata, seguendo un celebre discorso di Steve Jobs, volevo proprio esserlo. Poi mi imbatto nella filologia ed è amore dal primo istante: pochi sembrano capirla mentre io m’immergo tra gli stemmata codicum, errori e varianti. Ricostruire la lezione originale mi diverte come poche cose al mondo. Ora vivo nel dubbio: giornalista o filologa? Nell’attesa di trovare dentro di me la risposta, da settembre del 2017 lavoro per “Felicità Pubblica”.
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