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Ad agosto si era proposto e dallo scorso settembre è entrato a far parte della squadra del Common Goal: stiamo parlando di Giorgio Chiellini, difensore della Nazionale e futuro capitano della Juve, e dell’iniziativa alla quale ha voluto aderire.
Lo sportivo bianconero è il primo calciatore italiano al fianco di “Common Goal”: il progetto che prevede di aiutare le organizzazioni benefiche legate al mondo del pallone attraverso le donazioni di sportivi pronti a rinunciare a parte del proprio stipendio, almeno 1%, per aiutare gli altri.
L’iniziativa è stata lanciata quest’estate ricevendo subito l’adesione di importanti stelle del calcio come il centrocampista del Manchester United Juan Mata, Mats Hummels, difensore del Bayern Monaco, e Megan Rapinoe e Alex Morgan, due campionesse della nazionale femminile statunitense. Appena ha saputo di “Common Goal”, Chiellini si è proposto all’associazione via mail: “Ciao. Sono Giorgio Chiellini, giocatore della Juventus. Sono interessato a supportare l’iniziativa e mi piacerebbe congratularmi con Juan Mata per aver dato il suo appoggio attraverso il calcio alle persone meno fortunate di noi. Non sono interessato a farmi pubblicità, voglio solo supportare questo brillante progetto”. I membri dell’associazione inizialmente pensavano si trattasse di uno scherzo ma, una volta capito che era tutto vero, hanno accolto con entusiasmo Chiellini nel loro team.
Già in passato il difensore della Juventus si era mostrato sensibile a iniziative di solidarietà sostenendo alcune importanti fondazioni benefiche italiane ma la novità di “Common Goal”, come suggerisce efficacemente il nome, è che unisce il contributo di diversi sportivi in modo da segnare un goal decisivo per chi ne ha più bisogno. «Individualmente le nostre donazioni non riuscirebbero a cambiare il mondo. Ma insieme possiamo davvero fare la differenza» afferma Chiellini.
Complimenti dunque all’iniziativa e a chi vi ha preso parte perché dimostra di aver compreso a pieno una delle regole più importanti dello sport: da soli non si va da nessuna parte, per vincere c’è bisogno del contributo dell’intera squadra.
Nasco un piovoso giovedì di giugno con l’idea di osservare il mondo dei “grandi”. Benché l’indagine mi diverta molto, rimango stupita da alcuni errori commessi dagli adulti che stridono fortemente con quell’aria da “so tutto io”. In quanto giovane donna, la prima campagna che decido di abbracciare è quella contro la discriminazione sessuale: con una sensibilità fuori dal comune, alle elementari fondo l’illustre Club delle femmine e ottengo, ad esempio, la precedenza nell’uscita da scuola rispetto ai maschietti. Approdo nel periodo adolescenziale con le idee confuse, man onostante tutto sopravvivo ai brufoli e anche al liceo classico. Per l’università non ho dubbi: scelgo Lettere, mio padre ancora piange, ma avevo deciso: avrei fatto la giornalista. Ogni volta che scrivo la parola «giornalista» risuona nella mente la voce di una mia zia che aggiungeva con voce litanica: «che per la fame perde la vista». Poco male mi dicevo: cecata lo sono sempre stata e affamata, seguendo un celebre discorso di Steve Jobs, volevo proprio esserlo. Poi mi imbatto nella filologia ed è amore dal primo istante: pochi sembrano capirla mentre io m’immergo tra gli stemmata codicum, errori e varianti. Ricostruire la lezione originale mi diverte come poche cose al mondo. Ora vivo nel dubbio: giornalista o filologa? Nell’attesa di trovare dentro di me la risposta, da settembre del 2017 lavoro per “Felicità Pubblica”.
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