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La tecnologia, si sa, aiuta, quando è bene indirizzata, a migliorare la qualità della vita umana. Quando poi si mette al servizio della cultura, si possono ottenere grandiosi vantaggi. Lo dimostra, qualora ce ne fosse ancora bisogno, l’ultimissima novità in campo archeologico: l’intelligenza artificiale arriverà presto a decifrare i geroglifici.
A lavorare affinché tutto ciò sia possibile è il team di ricercatori dell’Hieroglyphics Initiative che, potendo contare sulla collaborazione di un’azienda di videogiochi, con Google e alcuni egittologi della Sorbona, basa il lavoro sul potenziamento delle tecniche di apprendimento automatico. L’idea è quella di raccogliere un repertorio di immagini di geroglifici in modo da ottenere un’enorme banca dati che consenta di velocizzare e semplificare il lavoro degli egittologi; quest’ultimi, infatti, attualmente adottano un procedimento molto lungo e di tipo manuale rimasto invariato da oltre 200 anni.
Permangono oggettive difficoltà nel realizzare un simile archivio dovute, in parte, alla complessità nell’estrarre il materiale figurativo, la cui leggibilità è spesso intaccata da lacune, e all’interpretazione corretta del loro ordine. I geroglifici, infatti, possono essere letti da sinistra a destra, da destra a sinistra e, anche, dall’alto verso il basso.
Determinante, dunque, diviene la collaborazione di tutti gli studiosi del settore: occorre infatti che vengano condivisi i materiali di partenza e le traduzioni esistenti da inserire nel database. All’intelligenza artificiale, invece, spetterà l’arduo compito di imparare a riconoscere le immagini e, con l’aiuto degli esperti, decifrarle per svelare quello che a oggi è uno dei misteri più suggestivi dell’antichità.
Nasco un piovoso giovedì di giugno con l’idea di osservare il mondo dei “grandi”. Benché l’indagine mi diverta molto, rimango stupita da alcuni errori commessi dagli adulti che stridono fortemente con quell’aria da “so tutto io”. In quanto giovane donna, la prima campagna che decido di abbracciare è quella contro la discriminazione sessuale: con una sensibilità fuori dal comune, alle elementari fondo l’illustre Club delle femmine e ottengo, ad esempio, la precedenza nell’uscita da scuola rispetto ai maschietti. Approdo nel periodo adolescenziale con le idee confuse, man onostante tutto sopravvivo ai brufoli e anche al liceo classico. Per l’università non ho dubbi: scelgo Lettere, mio padre ancora piange, ma avevo deciso: avrei fatto la giornalista. Ogni volta che scrivo la parola «giornalista» risuona nella mente la voce di una mia zia che aggiungeva con voce litanica: «che per la fame perde la vista». Poco male mi dicevo: cecata lo sono sempre stata e affamata, seguendo un celebre discorso di Steve Jobs, volevo proprio esserlo. Poi mi imbatto nella filologia ed è amore dal primo istante: pochi sembrano capirla mentre io m’immergo tra gli stemmata codicum, errori e varianti. Ricostruire la lezione originale mi diverte come poche cose al mondo. Ora vivo nel dubbio: giornalista o filologa? Nell’attesa di trovare dentro di me la risposta, da settembre del 2017 lavoro per “Felicità Pubblica”.
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