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Il lavoro è vita. O almeno dovrebbe esserlo!

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Dall’inizio dell’anno al 30 settembre 2017 erano 508 i morti sul lavoro registrati in Italia. Un numero che è già tristemente aumentato con i tragici episodi degli ultimi giorni che hanno visto altri lavoratori, in diverse zone dello Stivale, perdere la vita mentre svolgevano le proprie mansioni.

Un vero e proprio bollettino di guerra se si considera che il 2017 segna un anno nero per questo genere di decessi. Se negli ultimi decenni, infatti, il numero delle vittime e degli infortuni sul lavoro era costantemente sceso, quest’anno i dati registrano un’impennata davvero preoccupante. Stando ai dati diffusi dall’Anmil (associazione per le vittime degli infortuni sul lavoro), sono 421.969 gli incidenti denunciati (dati sino ad agosto), +1,2% rispetto al 2016. Ma soprattutto 682 gli infortuni mortali denunciati, +4,7%. Seppure non tutti i casi poi potranno essere annoverati tra le morti sul lavoro (alcuni ad esempio hanno perso la vita in incidenti stradali mentre si recavano sul posto di lavoro), restano comunque dei numeri che fanno venire i brividi.

Ma quali sono le ragioni di questo improvviso incremento? Difficile stabilirlo.

C’è chi sostiene che la crisi economica degli ultimi anni, e quindi l’aumento della disoccupazione e lo stallo di alcuni settori produttivi, abbia contribuito a una diminuzione degli infortuni e delle morti sul lavoro, che sono tornati prepotentemente di attualità con la ripresa.

Ma è davvero solo questo? Non credo. Penso piuttosto che il problema sia da ricercare altrove. Ad esempio nei mancati investimenti in sicurezza e manutenzione, nel lavoro nero, irregolare e sottopagato, nei mancati controlli, nell’aumento dell’età lavorativa, che vede persone che hanno passato abbondantemente i 60 anni salire su ponteggi e manovrare mezzi senza avere dalla loro parte gli stessi riflessi di un giovane, o ancora nel pressapochismo tipico italiano, dove il caschetto è un oggetto fastidioso da indossare solo in caso di ispezione.

«Troppo numerosi sono i casi di aziende che risultano non in linea con gli standard di sicurezza», il monito del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, «ed inconcepibile che tra le vittime di infortunio sul lavoro vi siano ragazzi giovanissimi. Il lavoro irregolare deve essere contrastato in tutti i modi: la legislazione è puntuale, sta a tutti gli interlocutori attuarla e rispettarla».

Già, come dice Mattarella, è davvero inconcepibile.

Le chiamano morti bianche, dove il colore candido sta a significare l’assenza di una mano direttamente responsabile dell’accaduto, eppure a mio avviso quelle sul lavoro sono tra le morti più nere che si possano immaginare.

Il lavoro è indipendenza, è soddisfazione, è gratificazione, è mantenimento della propria famiglia. In una parola il lavoro è vita. O almeno dovrebbe esserlo. E invece troppo spesso accade il contrario. E forse per rendere meglio l’idea della tragedia che si nasconde dietro ogni vittima dovremmo smetterla di classificare tutti i decessi in un unico grande calderone, quello delle morti bianche appunto, e pensare che dietro ogni incidente ci sono un nome, un cognome, una famiglia e una vita intera spezzati per sempre.

Il direttore

Vignetta di copertina: Freccia.

 

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