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Summit di Parigi e Libia: quello che tutti dovrebbero sapere (II parte)

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Come valutare gli esiti dell’incontro tra i capi di stato e di governo di Germania, Spagna, Francia e Italia e di Niger, Ciad e Libia organizzato la scorsa settimana a Parigi?  Alcuni hanno parlato di novità rilevanti, altri hanno espresso perplessità.

Affidiamoci, per una volta, a chi conosce non solo l’emergenza Mediterraneo ma l’intero flusso migratorio che dai Paesi subsahariani si muove in mille direzioni. Proponiamo, quindi, il testo integrale del documento elaborato dall’AOI (Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale) e da CONCORD Italia (Network delle ONG in Europa per lo sviluppo e l’emergenza), Enti che rappresentano davvero l’intero panorama delle ong italiane e non solo. La lunghezza del testo consiglia la pubblicazione in due parti, la prima lo scorso 5 settembre (leggi la prima parte).

Un pressante invito ai lettori a dedicare qualche minuto della loro attenzione a questo documento: si comprenderanno molte cose che interpretazioni strumentali celano e informazioni affrettate dimenticano.

Dopo Parigi: come riformulare il piano per la gestione dei flussi migratori dall’Africa (II parte)

PROPOSTE E RACCOMANDAZIONI

Sulla scorta del dibattito che ha ingiustamente coinvolto le ONG e le organizzazioni della società civile, e per contribuire con proposte ai limiti critici evidenziati sottolineiamo al governo e alle istituzioni europee alcune questioni per noi essenziali.

  • Il primo banco di prova della strategia consiste nel rapido miglioramento delle condizioni dei migranti e richiedenti asilo in Libia e negli altri paesi di transito come il Niger e il Ciad. Gli attuali centri di detenzione in Libia si debbono trasformare in luoghi dove la vita e il diritto alla protezione internazionale deve essere garantita e tutelata attraverso la presenza dell’UNHCR e dell’OIM così come della società civile organizzata. Ciò risulta impossibile prima di una sostanziale stabilizzazione e pacificazione dei paesi coinvolti, che veda anche la loro adesione alle norme e agli accordi internazionali. Usando in questi casi una condizionalità positiva verso i governi africani.
  • È necessaria la formalizzazione di una road map, con impegni finanziari chiari per i prossimi anni, che porti questi paesi (Libia e Ciad non sono firmatari della Convenzione di Ginevra ad esempio) a raggiungere infrastrutture e standard che garantiscono il rispetto della Convenzione e dei diritti umani. In particolare le risorse messe in campo per la cooperazione a partire dal Trust-fund Europa Africa, recentemente rifinanziato per 2.8 miliardi di euro debbono essere utilizzate per lo sviluppo umano e per i servizi essenziali: appoggio alla costruzione dello stato di diritto e alla democrazia, cibo, salute e istruzione di base, e non impiegate in buona parte per il controllo delle frontiere. Lo stesso criterio deve valere per i 200 milioni del “Fondo Africa” stanziati dal governo italiano. I costi per la gestione delle migrazioni (comunque questi paesi devono dotarsi di una politica migratoria) devono essere a carico di fondi ad hoc, distinti da quelli per lo sviluppo e la protezione. E questi fondi devono andare a favore di una politica fondata sui diritti umani e su principi democratici, ad esempio dando un maggiore sostegno al quadro di concertazione sulle migrazioni creato in Niger; e prevedendo l’istituzione di uno strumento simile anche in Libia, accanto alle iniziative di costruzione della pace. Questi quadri sono importanti per la presenza della società civile organizzata ai fini del monitoraggio delle azioni e per la salvaguardia e promozione dei diritti umani.
  • Le norme adottate per la sicurezza e il controllo alle frontiere non debbono ridurre la mobilità umana intra-africana (si dimentica che oltre il 60% dei flussi non viene in Europa, ma si sposta tra stati africani), migrazione indispensabile per sostenere la sopravvivenza delle famiglie di origine. Occorre preservare le capacità degli Stati africani di consentire la mobilità interna regionale.
  • L’erezione di frontiere rischia di portare alla creazione di stati cuscinetto e campi profughi in Africa che non fa che procrastinare le crisi e le instabilità, mentre occorre sostenere risposte regionali e la creazione di veri poli di attrazione economici come ad esempio previsto dalle analisi della Banca Africana di Sviluppo con UNDP e centro per lo sviluppo dell’OCSE. Con un approccio che coniuga sviluppo territoriale e gestione positiva delle migrazioni.
  • Come dimostrato da tempo, è urgente la riforma e superamento del sistema di Dublino che lungi dal facilitare la gestione dei flussi ne concentra il peso sui paesi di “primo arrivo” come è accaduto in questi tre anni con Italia e Grecia. È evidente la necessità quantomeno dell’introduzione di un meccanismo che permetta l’automatica redistribuzione dal paese di primo arrivo in altri stati membri, in situazione di emergenza e in caso di grandi flussi che mettano sotto stress il sistema di accoglienza di quel/i paese/i.

Accanto a questo è urgente la conclusione, dopo un processo che va avanti da tempo, dell’adozione di un sistema unico di asilo europeo che faciliti regole certe e uguali per tutti i 27 paesi membri, e favorisca una reale condivisione delle responsabilità in un quadro europeo. Un sistema che deve prevedere un piano europeo credibile per il reinsediamento e corridoi umanitari con numeri significativi in linea con i valori e le risorse dell’UE. In tal senso il Piano di Parigi promuove un nuovo programma di reinsediamento dai paesi del Sahel all’Europa (quello precedente, occorre ricordarlo, prevedeva 22.000 persone da reinsediare. ma non ha centrato l’obiettivo e si è fermato a 17.179). Ciò significa che i numeri saliranno? È necessaria maggiore chiarezza sull’impegno concreto degli Stati membri.

  • il Piano nella sua forma attuale riduce le migrazioni alla dicotomia tra flussi per motivi economici e per asilo, con i primi da rigettare nei paesi di origine. A quando l’apertura di una riflessione su una nuova politica per un contesto in grande mutamento dove appaiono nuove forme di migrazione? Riteniamo utile per una seria strategia di medio periodo guardare alle riflessioni e alle proposte del Global Compact sulle migrazioni dell’ONU. Un documento approvato con l’adesione di tutti i paesi europei lo scorso anno e che nel 2018, all’Assemblea Generale vedrà il lancio di misure operative per realizzarlo.
  • Il ruolo della società civile e delle ONG e più in generale del sistema italiano della cooperazione e della solidarietà crediamo sia una risorsa imprescindibile con le sue capacità e relazioni per affrontare una sfida di questa portata, sia a livello istituzionale che culturale con e dentro la scuola, la famiglia, il mondo del lavoro e dei media. Per questo chiediamo nuovamente al governo e ai ministeri competenti (Interni ed Esteri e della Cooperazione) di convocare un Tavolo di coordinamento nazionale con tutti gli attori così come fu fatto con successo in altre occasioni, dalle guerre nei Balcani o in occasione di altre emergenze nazionali.

In conclusione, se da un lato è da salutare positivamente il riconoscimento e l’appoggio europeo della spinta italiana per una gestione dei flussi migratori più condivisa e responsabile, dall’altro è necessario che la società civile faccia sentire la sua voce in modo propositivo per rivedere un piano che mostra diverse criticità. Ma soprattutto richiami il governo italiano e quelli europei a definire finalmente un concreto e complessivo piano con l’Africa che porti a coerenza diverse questioni sulle quali non c’è ancora condivisione e che sono alla base dei flussi migratori: le guerre (il commercio delle armi), la crescente emergenza ambientale (gli impegni per il cambiamento climatico e il finanziamento del fondo verde per il clima), la fughe dei capitali dall’Africa e l’evasione ed elusione delle tasse da parte delle multinazionali che riducono gli introiti per i poveri stati africani in misura di almeno 50 miliardi di dollari l’anno (chiusura dei centri finanziari off-shore e trasparenza nella rendicontazione), la lotta alla speculazione finanziaria che provoca le guerre del pane (adozione della tassa sulle transazioni finanziare ad alta frequenza), una politica commerciale che favorisca l’industrializzazione dei paesi africani e quindi l’occupazione locale (revisione degli European African Partnership), un piano per gli investimenti in Africa che sostenga le comunità locali e non gli interessi delle grandi imprese europee.

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