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4 settembre 1965 – A Lambaréné, nella foresta equatoriale del Gabon, muore Albert Schweitzer, i cui talenti e le cui passioni e abilità sono innumerevoli. Eppure nasce, per così dire, svantaggiato. Perché sin da bambino ha problemi nel leggere e nello scrivere, si deconcentra facilmente e fa fatica a imparare concetti semplici. Però ha uno straordinario rapporto con la musica, passione che non lo abbandonerà mai.
Ma la svolta della sua vita avviene quando, superati i forse mai veri e propri problemi di apprendimento, si iscrive alla Facoltà di Medicina con un obiettivo preciso: specializzarsi in malattie tropicali e andare in Africa. Si laurea e comincia immediatamente a raccogliere fondi per costruire un ospedale a Lambaréné, una città del Gabon situata in Africa Centrale. Ma i soldi raccolti sono pochi, così decide di realizzare un ambulatorio in un vecchio pollaio, con l’aiuto dell’infermiera Hélène Bresslau, che in seguito diventerà sua moglie.
Gli indigeni imparano a guardarlo con simpatia perché Albert Schweitzer è un uomo di grande spessore umano, non giudica, rispetta gli usi, i costumi e la religione del posto. E soprattutto, si trova in Africa per fare il medico. È instancabile, si muove di villaggio in villaggio ogni volta che il caso lo richiede, si espone in prima persona ai rischi derivanti dagli esperimenti atomici e dalle radiazioni nucleari perché gli interessa comprendere da vicino la medicina della ricerca. Nel 1952 gli viene conferito il Nobel per la Pace con i cui proventi costruisce il “Village de la lumière” (villaggio della luce) per la cura dei lebbrosi. Muore anziano, dopo una vita dedicata al lavoro, al sacrificio, al buon esempio. Ed è senz’altro uno degli antesignani dei medici missionari che approderanno in seguito in Africa.
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