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Mentre la Cecenia è alle prese con una gravissima situazione di palese violazione dei diritti umani ai danni degli omosessuali (leggi l’articolo), il Taiwan sorprende tutti e apre la strada all’introduzione del matrimonio gay. Il Consiglio costituzionale del Paese asiatico ha deciso che, al massimo entro due anni, la legge entrerà in vigore.
Si tratta di un importante passo avanti per quanto riguarda la conquista delle libertà civili, se poi consideriamo che il Taiwan sarà la prima nazione asiatica ad adottare questa storica decisione, viene spontaneo parlare di passo doppio. Ma, sostanzialmente, come si è arrivati a questo respiro di libertà? Intanto occorre sottolineare che tutti i cittadini dell’Isola, da tempo, organizzano manifestazioni pacifiche per chiedere al Governo di Tsai Ing-wen misure di tutela, ma sappiamo come questo elemento non sia sempre il fattore che determina poi decisioni importanti.
Quindi bisogna aggiungere che gli omosessuali del Taiwan raramente sono stati soli; hanno spesso potuto contare sul senso civico e amore per la libertà dei connazionali eterosessuali. A questo elemento va aggiunto il non trascurabile fatto che l’Isola vanta un apparato giuridico che funziona e guarda al futuro in maniera aperta e inclusiva.
L’occasione che ha permesso di arrivare alla legge si è presentata quando i giudici del Consiglio costituzionale del Paese asiatico si sono riuniti per esprimersi su due ricorsi mediante i quali sorgevano dei dubbi sulla costituzionalità nei confronti della norma del Codice Civile che di fatto prende in considerazione solo e unicamente il matrimonio tra eterosessuali. Il risultato dell’analisi ha messo in palese evidenza che sì, effettivamente, la disposizione era incompatibile con la Carta visto che questa impone la libertà di sposarsi e, soprattutto, ribadisce l’uguaglianza tra tutti i cittadini. Pertanto si è giunti a conclusione che non permettere ai gay di contrarre matrimonio sia assolutamente incostituzionale.
Ecco che un modo di ragionare estremamente logico e imparziale diventa ragione di fare una legge equa, giusta, e, ci si auspica, apripista per altre realtà del continente asiatico. Nazioni del Vecchio Continente e Stati americani talmente presuntuosi da credere di poter prendere decisioni restrittive sulla libertà di scelta degli altri, forse potrebbero cogliere questa occasione per una sana autocritica.
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