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di Francesco Lo Piccolo.
C’è poco da dire, il manicomio continua a piacere a tanti (governanti compresi). E ancora di più a troppi piacciono ancora i vecchi Opg, ospedali psichiatrici giudiziari, veri lager come era stato rivelato nel 2011 dalla Commissione parlamentare d’inchiesta al termine delle ispezioni negli ospedali psichiatrici giudiziari d’Italia e nei quali erano richiuse in condizioni disumane 1300 persone. Allora il presidente Napolitano aveva parlato di situazione “inconcepibile in qualsiasi paese appena civile”. Naturalmente si erano mossi giornali, Tv e i politici. Era stata fatta anche la legge per la loro chiusura immediata. Ed era stata approvata la realizzazione delle cosiddette Rems.
Ma ancora una volta fatta la legge trovato l’inganno. Il ddl giustizia, in discussione al Senato in queste ore, e su cui il ministro Orlando sembra intenzionato a porre la fiducia, prevede che alle Rems (una trentina distribuite in tutta Italia) possano essere destinati i detenuti per i quali l’infermità di mente sia sopravvenuta durante l’esecuzione della pena, e poi anche gli imputati sottoposti a misure di sicurezza provvisorie e infine tutti coloro per i quali occorra accertare le relative condizioni psichiche, qualora le sezioni degli istituti penitenziari non siano idonee a garantire i trattamenti terapeutico-riabilitativi.
Di fatto ecco che torna la stessa logica degli Opg (appena chiusi dopo anni e anni di tira e molla). Unica differenza: gli ambienti saranno più piccoli. Ma a parte questa differenza, ecco che le Rems rischiano di diventare dei nuovi Opg, manicomi giudiziari a tutti gli effetti. E in parte già lo sono: già ora infatti, come denuncia “Stop Opg” si stanno riempiendo di persone che lì non dovrebbero stare. Perché di nuovo, ora come un tempo, i giudici tendono a utilizzare le Rems – che sono per legge deputate al recupero terapeutico – come strutture parcheggio di persone indagate sottoposte a misure di detenzione provvisoria e la cui infermità mentale non è stata ancora accertata. E’ lo stesso ex commissario per la chiusura degli Opg Franco Corleone che nella sua relazione conferma: “ Ci sono 200 persone che su ordinanza della magistratura aspettano di entrare nelle residenze senza possederne i requisiti”.
Insomma un gran passo indietro, o meglio una beffa in barba alla legge 81 sulla chiusura degli Opg (e sul superamento della loro logica) secondo la quale per la cura e la riabilitazione delle persone, dovevano essere realizzati progetti individuali con misure non detentive ispirate esplicitamente dalla 180 (Riforma Basaglia).
Per questo – anche ricordando che all’articolo 32 della Costituzione italiana “…La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana” – proprio ieri ho firmato la petizione su Change.org: “Nessun ritorno agli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Approvate l’emendamento sulle REMS!”
Per questo mi sono rivisto “Lo stato della Follia” (clicca qui) e sono andato a riprendere dalla mia libreria i libri di Franco Basaglia e, a caso, da pagina 114 de L’istituzione negata (B.C. Dalai editore) copio qui: «Negli ospedali psichiatrici è d’uso ammassare i pazienti in grandi sale, da dove nessuno può uscire, nemmeno per andare al gabinetto. In caso di necessità l’infermiere sorvegliante interno suona il campanello, perché un secondo infermiere venga a prendere il paziente e lo accompagni. La cerimonia è così lunga che molti pazienti si riducono a fare i loro bisogni sul posto. Questa risposta del paziente ad una regola disumana, viene interpretata come un «dispetto» nei confronti del personale curante, o come espressione del livello di incontinenza del malato, strettamente dipendente dalla malattia».
…perché a questi orrori non si deve tornare.
Sono giornalista dal 1980. La mia attività professionale è cominciata a metà degli anni Settanta collaborando col settimanale Nord Est a Venezia. Dopo un breve periodo al Diario di Palermo, sono stato assunto a il Mattino di Padova. Dal 1986 fino al 2011 ho lavorato a Il Messaggero nelle redazioni di Roma, Milano e Chieti. Ho visitato paesi, vissuto e raccontato la tragedia della fame in Etiopia a metà anni Ottanta, il fermento che animava Berlino Est pochi giorni prima della caduta del Muro, le rivolte in Albania al tempo di Enver Hoxha, le prime riforme a Mosca con l’elezione di Gorbaciov.
Ho avuto la fortuna di aver incontrato buoni maestri. Da loro, oltre che da mio padre, che era maestro di scuola, ho appreso che chi scrive, chi è giornalista, ricerca la verità e non manipola i fatti ad uso e consumo di una o di un’altra parte politica. Attualmente ho un blog sul sito Huffingtonpost Italia dove scrivo di informazione, giustizia, diritti, carcere. Dal 2008 dirigo Voci di dentro, rivista scritta dai detenuti di alcune carceri abruzzesi. Entrato nel mondo del carcere come volontario, ho fondato con altri l’associazione Onlus Voci di dentro (della quale sono presidente) che si occupa del reinserimento degli ex detenuti. Fortemente convinto che non ci sono muri da innalzare ma porte da aprire e che occorre dare opportunità di vita e di conoscenze a persone che, non per colpa loro, queste opportunità non hanno avuto, tengo dei laboratori di scrittura e sulla legalità nelle carceri di Chieti e Pescara. Ho fondato e sono presidente di Alfachi cooperativa sociale di tipo B con l’intento di creare occasioni di lavoro per detenuti ed ex detenuti.
Amo leggere, scrivere, conoscere, studiare (due anni fa mi sono riscritto all’università, corso di laurea in sociologia e criminologia). Soprattutto amo la mia famiglia, mia moglie, e i miei due figli.
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