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Da quando il fenomeno dell’immigrazione è entrato nelle nostre vite, ha iniziato a toccarci in prima persona e a rappresentare, in diversi contesti, una vera e propria emergenza tanto che sentiamo spesso ripetere la frase “Aiutiamoli a casa loro!”. Si tratta di un’affermazione che abbiamo sentito dire da chiunque, dal politico di turno al vicino di casa, passando per qualche parente o qualche amico virtuale.
Ma spesso chi pronuncia questa frase, che vuole nascondere razzismo, intolleranza e xenofobia sotto la parvenza di altruismo e solidarietà, cela solo una profonda ignoranza della stessa storia contemporanea e della geografia.
Già, perché sono purtroppo in tanti a fare dell’Africa tutto un grande calderone, a non conoscere neanche sommariamente la collocazione geografica di molti Paesi e men che meno il contesto sociale, politico ed economico degli Stati dai quali in migliaia ogni giorno si mettono in fuga con la speranza del “sogno europeo”.
E allora proviamo a capire cosa c’è “a casa loro”, quali i problemi, quali i drammi quotidiani, quali le atrocità da cui fuggire.
Oggi lo facciamo concentrandoci sulla Somalia, questo Stato del Corno d’Africa così distante dall’Italia eppure così vicino a noi, perché fu un esploratore italiano a dargli questo nome nel XIX secolo e furono proprio gli italiani a dividersi con i britannici il controllo della nazione fino alla metà del secolo scorso.
Ebbene, la Somalia purtroppo non ha mai conosciuto un reale periodo di pace, dal momento che la sua storia è fatta di colpi di Stato, dittature, guerriglie, scontri tra fazioni e clan. A questa precarietà assoluta dal punto di vista amministrativo, si associa comprensibilmente anche una pessima qualità della vita, dettata da un tasso di mortalità molto alto soprattutto tra anziani e bambini, scarse condizioni igienico-sanitarie ed epidemie. A rendere la situazione ancora più drammatica, come se non lo fosse già abbastanza, ci sono tre anni di siccità che stanno esplodendo sotto forma di carestia.
Ed è a poche settimane dall’elezione del nuovo presidente della Somalia, Mohamed Abdullahi Mohamed (eletto non a suffragio universale ma attraverso un sistema di quote elettorali suddivise per clan), che il governo somalo ha dichiarato lo stato di calamità. L’ultimo grido d’allarme è stato lanciato dal primo ministro somalo Ali Khaire che, nei giorni scorsi, ha messo in luce la morte per fame di almeno 110 persone nelle 48 ore precedenti, nella sola regione di Bay, nel sud-ovest del Paese. Ma sono ben 250 mila i somali morti negli ultimi anni a causa dei conflitti e della siccità.
Secondo l’Onu la portata del fenomeno è addirittura molto più grave e sarebbero almeno 5 milioni le persone nel Corno d’Africa ad aver bisogno di aiuti alimentari. Circa 363mila bambini sono già gravemente denutriti e altri 270mila rischiano di diventarlo nel 2017. Le Nazioni Unite hanno, inoltre, dichiarato di recente che c’è solo una finestra di due mesi per evitare una catastrofe dovuta alla siccità e hanno quantificato in 6 milioni di euro i fondi necessari per intervenire.
Niente pioggia, del resto, significa niente raccolto e niente cibo, niente acqua pulita da bere con la conseguente insorgenza di malattie ed epidemie, quindi morte.
Siamo davanti a una vera e propria corsa contro il tempo. Aiutiamoli nel nostro piccolo, visto che ne abbiamo la possibilità. In che modo? Cominciare dalla buona informazione e dalla sensibilizzazione di chi ci sta vicino è già un buon inizio.
Il direttore
Sono nata ad Avezzano (L’Aquila) sotto il segno dell’acquario, il 18 febbraio 1981, e dal 2009 vivo a Montesilvano (Pescara). Socievole, chiacchierona e curiosa dalla nascita, ho assecondato questa naturale inclinazione laureandomi a 24 anni in Scienze della Comunicazione a Perugia e scegliendo il giornalismo come ragione di vita prima ancora che come professione. Dopo diverse esperienze come giornalista di carta stampata e televisiva, dal 2012 mi occupo di cronaca per il quotidiano abruzzese il Centro, oltre a curare diversi progetti come freelance. Tra le mie più grandi passioni, oltre alla scrittura, ci sono i viaggi, la fotografia e il cinema, che nel 2011 mi hanno portato a realizzare, come coautrice, un documentario internazionale sulla figura della donna nell’area del Mediterraneo. Dall’estate 2015 ho il privilegio di dirigere il portale Felicità pubblica. Indipendente, idealista e sognatrice, credo nella famiglia, nell’amore, nell’amicizia e nella meritocrazia e spero in un futuro lavorativo migliore per i giovani giornalisti che, come me, preferiscono tenere i sogni in valigia piuttosto che chiuderli in un cassetto.
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