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Epilessia a scuola: gli insegnanti si mostrino collaborativi

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In occasione di oggi, Giornata mondiale dell’epilessia, la Fie (Federazione italiana epilessie) ha voluto lanciare un messaggio importante sul legame che intercorre tra questa invalidante patologia e la scuola. L’interazione tra le due cose non produce infatti risultati che possano soddisfare ed esiste l’urgenza che gli insegnanti assumano il compito e la responsabilità legata alla somministrazione dei farmaci, aiutando in tal modo le famiglie.

Ben lungi dall’incriminare una categoria professionale, Rosa Cervellione, presidente Fie, dice infatti: «Anche io forse, se non fossi informata e formata su cosa fare e su quali rischi ci possano essere, mi rifiuterei di somministrare farmaci. Per questo, è necessario che consapevolezza e conoscenza aumentino, dentro la scuola e non solo».

Il presidente Fie tona inoltre a parlare – e ad auspicare che si riprenda in considerazione – il “modello d’intervento del comitato paritetico”, lanciato nel 2012 e che tanto bene prometteva. In sostanza, si trattava di una collaborazione tra Miur e Ministero della salute che prevendeva una pluralità di soggetti coinvolti tra cui famiglie, insegnanti, Asl, dirigenti scolastici. Si era giunti a predisporre un documento indicante un modello di intervento dedicato proprio alla somministrazione dei farmaci, esteso anche al diabete e alle allergie. Secondo la Cervellione si trattava di un percorso molto valido che, se fosse andato avanti, avrebbe potuto fungere da linea guida. L’intoppo, secondo il presidente Fie, si sarebbe verificato al Ministero dell’istruzione, dal momento che sarebbero proprio gli insegnanti i primi ad essere coinvolti in tale modello d’intervento, benché sotto questo aspetto non è incluso alcun canone di obbligatorietà ma, al contrario, di volontarietà. Ma, nonostante un approccio tutto sommato così comprensivo, il documento è finito nel dimenticatoio.

Pertanto, la situazione legata alla cura degli epilettici entro le mura scolastiche, è più che mai critica: «La maggior parte degli insegnanti si rifiuta di somministrare i farmaci, così che i genitori debbano supplire, recandosi a scuola; se si verifica una crisi in orario scolastico, viene chiamata l’ambulanza, nella speranza che arrivi in tempo», spiega Rosa Cervellione.

C’è però da dire che la somministrazione di questi farmaci è semplice, ragion per cui ci si è spesi molto all’interno della Fie per fare il giro delle scuole, parlando direttamente agli insegnanti. Infatti, «si tratta di medicinali di uso domestico, di facilissima somministrazione. Andiamo a dir questo nelle scuole, parlando di epilessia e spiegando quanto siano grandi i rischi che l’alunno corre se la crisi non viene interrotta e quanto sia invece minimale l’intervento necessario per risolverla. Normalmente gli insegnanti, una volta informati di questo, si mostrano disponibili e il problema si risolve».

Al disagio sanitario se ne aggiunge un altro, evidentemente, sociale. Non è certamente piacevole per i ragazzi sentire che nessuno sia disposto a curarli entro le mura scolastiche. Si tratta di un messaggio – come spiega la stessa Cervellione – che certamente la scuola non dovrebbe trasmettere, un comportamento irresponsabile. È invece evidente come, adottando il modello del comitato paritetico, che tra l’altro prevedeva la formazione del personale scolastico, il problema non sarebbe così grande. Inoltre, dal momento che la candidatura sarebbe volontaria e non obbligatoria non si comprendono le ragione di questa chiusura. L’appello della Fie è quindi quello di rispolverare il modello sul quale si stava studiando e, cosa ancora più importante, viene chiesto che «le persone con epilessia che hanno risposto bene ai farmaci e, di fatto, si sono liberate dalle crisi, di uscire allo scoperto, rompere il silenzio e parlare della malattia: in questo modo, passerà il messaggio che l’epilessia, pur essendo una malattia grave e cronica, non impedisce alla persona di vivere una buona vita, realizzando i propri desideri. E ci aiuterà anche la testimonianza di queste persone, ad incentivare la ricerca, a cui oggi vanno investimenti del tutto inadeguati».

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