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di Francesco Lo Piccolo.
Tutto parte dai racconti di nonno Giovanni e dall’amore per la Maiella. Da lunghe camminate di un nonno e di un nipote nei boschi attraverso faggete, anfratti e gole pieni di segreti. Dalle storie di un vecchio che prima erano storie di altri vecchi, tramandate così di generazione in generazione. Un bagaglio di memoria che per Fabrizio Fanciulli, per quel ragazzo fatto uomo, è poi diventato motivo di una ricerca, di uno studio, di un libro. Motivo di una vita.
Ho conosciuto Fabrizio Fanciulli qualche sera fa a mille e novecento metri di quota, al Rifugio Pomilio, durate una bella serata dove ho trovato vecchi amici e dove me ne sono fatti di nuovi. Qualche buon bicchiere di rosso, buoni piatti locali, un bellissimo video sul brigantaggio realizzato da Stefania Proietto hanno fatto da cornice alla presentazione del libro di Fanciulli dal titolo “Chi vive. Uomini diventati briganti”, 120 pagine, Edizioni Sigraf. Si legge tutto d’un fiato, perché come scrive l’autore è “storia di uomini, storia scritta dentro di noi, non quella dei libri, ma quella di mio nonno Giovanni che mi avvolgeva, mi scuoteva, mi faceva pensare, quasi la toccavo con mano…case, paesaggi, luoghi dove uomini cercavano un significato da dare alla propria esistenza”. Lo consiglio, perché ci fa toccare con mano un periodo forse dai più dimenticato e che ha significato, come tante altre volte, macerie, guerra civile, guerra di italiani contro italiani. Storia che è bene conoscere. Perché fa pensare e spinge ad approfondire.
E a scoprire le ragioni degli uni e degli altri. Se ragioni ci sono. E a scoprire qualcosa di più di queste guerre che vedono come sempre una parte (che poi saranno i vincitori) e un’altra parte (che poi saranno i vinti). Guerre con tante vittime in mezzo. Tra gli stessi soldati mandati a combattere altri soldati per un pezzo di pane. E soprattutto tra i civili, contadini soprattutto, gente che viveva con poco, popolazioni intere strette fra la feroce politica fiscale dei Savoia (per risanare le casse piemontesi dissanguate dalle guerre con l’Austria, per quei pareggi di bilancio che ancora oggi ci riguardano) e l’aristocrazia legata ai Borboni. In un mondo in cui chi si ribella, chi non ci sta – vuoi per fame e per la tassa sul pane, vuoi per le illusioni alimentate da un qualunque Garibaldi, vuoi perché guidato e manipolato dallo Stato pontificio e dagli aristocratici che non volevano dividere terre e potere , come invece avevano fatto al Nord – ecco che quel ribelle diventa il brigante di turno. Brigante a torto o a ragione poco importa. Perché nelle guerre, in tutte le guerre, i massacri spesso sono compiuti da tutte le parti in campo.
Lo consiglio il libro di Fanciulli perché ricco di storie minime, frutto di una lunga e laboriosa ricerca all’Archivio di Stato di Chieti. Perché ricco di nomi e di testimonianze. Perché si parla della Maiella e dei suoi uomini, di boschi, gole e misteri. Soprattutto perche mostra, almeno a me ha mostrato, come e quanto la storia sia sempre uguale. Storia di stragi e di fucilazioni e di deportazioni. Storia di fortezze trasformate in galere come Fenestrelle. Di poveri che i vincitori definiscono e trasformano in briganti. Come avvenne poi, qualche tempo dopo, durante la seconda guerra mondiale, quando furono definiti “banditen” i partigiani che combattevano i nazisti e i fascisti . Perché mostra storie di italiani contro italiani, o meglio di uomini contro uomini, chi da parte e chi dall’altra. E che alla fine lasciano solo lutti e macerie. Quelle macerie che sono questa nostra storia raccontata sempre con le parole dei vincitori e quasi mai con le parole degli sconfitti. Parole degli sconfitti che ho trovato leggendo “Chi vive. Uomini diventati briganti”.
Sono giornalista dal 1980. La mia attività professionale è cominciata a metà degli anni Settanta collaborando col settimanale Nord Est a Venezia. Dopo un breve periodo al Diario di Palermo, sono stato assunto a il Mattino di Padova. Dal 1986 fino al 2011 ho lavorato a Il Messaggero nelle redazioni di Roma, Milano e Chieti. Ho visitato paesi, vissuto e raccontato la tragedia della fame in Etiopia a metà anni Ottanta, il fermento che animava Berlino Est pochi giorni prima della caduta del Muro, le rivolte in Albania al tempo di Enver Hoxha, le prime riforme a Mosca con l’elezione di Gorbaciov.
Ho avuto la fortuna di aver incontrato buoni maestri. Da loro, oltre che da mio padre, che era maestro di scuola, ho appreso che chi scrive, chi è giornalista, ricerca la verità e non manipola i fatti ad uso e consumo di una o di un’altra parte politica. Attualmente ho un blog sul sito Huffingtonpost Italia dove scrivo di informazione, giustizia, diritti, carcere. Dal 2008 dirigo Voci di dentro, rivista scritta dai detenuti di alcune carceri abruzzesi. Entrato nel mondo del carcere come volontario, ho fondato con altri l’associazione Onlus Voci di dentro (della quale sono presidente) che si occupa del reinserimento degli ex detenuti. Fortemente convinto che non ci sono muri da innalzare ma porte da aprire e che occorre dare opportunità di vita e di conoscenze a persone che, non per colpa loro, queste opportunità non hanno avuto, tengo dei laboratori di scrittura e sulla legalità nelle carceri di Chieti e Pescara. Ho fondato e sono presidente di Alfachi cooperativa sociale di tipo B con l’intento di creare occasioni di lavoro per detenuti ed ex detenuti.
Amo leggere, scrivere, conoscere, studiare (due anni fa mi sono riscritto all’università, corso di laurea in sociologia e criminologia). Soprattutto amo la mia famiglia, mia moglie, e i miei due figli.
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