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Domani è la Giornata della Legalità. Ricordiamo, ancora commossi, la strage di Capaci del 23 maggio 1992 in cui furono uccisi i magistrati Giovanni Falcone e Francesca Morvillo con alcuni uomini della loro scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. Una strage di mafia ordinata dalle Commissioni regionale e provinciale di Cosa Nostra presiedute da Salvatore Riina ed eseguita da Brusca, Gioè, La Barbera, Di Matteo e altri ancora.
Ma quest’anno la Giornata delle Legalità giunge a poche ore dalla morte di Marco Pannella, un uomo che, a suo modo, ha condotto per oltre sessant’anni una dura e coraggiosa battaglia per la legalità. Ho condiviso molte iniziative radicali, i loro contenuti e il modo originale di dialogare con i cittadini, ma non ho mai amato in modo particolare Marco Pannella. Spesso mi ha creato imbarazzo e irritazione il suo modo “invadente” di occupare la scena, un protagonismo eccessivo che non lasciava spazio a nessuno se non a chi, a volta a volta, lui decidesse di affidare il ruolo di spalla. Eppure la sua visione del futuro ha sempre avuto qualcosa di profetico, a partire dall’attenzione dedicata alla dimensione planetaria dei problemi, ben prima che iniziassimo a parlare di globalizzazione.
In questa occasione, tuttavia, vorrei soffermarmi soltanto sul tema della legalità. Non vorrei però assimilare il tema della legalità a quello dei diritti civili, ma restare aderente alla sua definizione. Legalità è “essere conforme alla legge e a quanto è da questa prescritto”. Pannella, a mio avviso, è stato maestro di legalità. Lo è stato perché era un vero liberale e i liberali prendono sul serio le leggi e, più in generale, le regole della convivenza. Poche regole ma sacre e inviolabili. Noi, invece, siamo abituati a troppe regole, a infinite leggi, che “invadono” ogni aspetto della nostra vita e che, per ciò stesso, risultano poco credibili; le guardiamo con sospetto e con l’intima convinzione che, in fondo, violarle non sia così grave, anzi sia un atto di sana ribellione. Tutti sappiamo di essere circondati da leggi ingiuste, inutili, inadeguate. Il problema è capire come il cittadino inerme possa affrontare l’inevitabile confronto con il Moloch che lo sovrasta. L’atteggiamento più diffuso consiste nell’aggirare l’ostacolo, trovando una scappatoia, una soluzione che possa alleviare il peso. Ma queste sono risposte individuali che, il più delle volte, scadono nell’arbitrio e nell’illecito. Forse possiamo dirlo: questa è la strada che conduce all’illegalità.
Perché questa riflessione a proposito di Pannella? Perché Pannella ci ha insegnato a combattere le leggi ingiuste, inutili, inadeguate a viso aperto, con le armi della partecipazione e del consenso, con l’impegno individuale che si trasforma in “lotta” collettiva. Nel Paese in cui tanti “predicano” di comunità e di interesse generale, mentre nella maggior parte dei casi ciascuno persegue esclusivamente i propri “affari”, Pannella ci ha insegnato che la collettività è fatta dalla somma di milioni di consapevolezze individuali, che non esiste comunità senza una piena responsabilità individuale. Forse ci ha trascinato in troppi referendum, ma con lui abbiamo capito che la democrazia rappresentativa non basta per dare voce alla complessità della società e alla sua evoluzione.
C’è qualcosa di più. Pannella ci ha insegnato come “trasgredire” le leggi che non condividiamo. È la grande lezione della disobbedienza civile. Le leggi si trasgrediscono “in pubblico”, a viso aperto, assumendosi la responsabilità delle proprie azioni, pronti a pagarne le conseguenze. Tutti ricordiamo le battaglie per la liberalizzazione delle droghe leggere, contro l’aborto clandestino, per il diritto all’eutanasia.
La disobbedienza civile ha avuto anche altri grandi maestri: tra gli altri Gandhi e Don Lorenzo Milani. Gandhi ha così condotto l’India all’indipendenza dal Regno Unito; Don Milani ha sostenuto l’obiezione di coscienza contro il servizio militare. In entrambi è stata estremamente forte la connotazione spirituale del loro impegno. Pannella ci ha mostrato il volto laico della disobbedienza civile. Una palese ingiustizia viene combattuta con una piena assunzione individuale di responsabilità che, se tutto va bene, diventa battaglia politica collettiva.
Una lezione importante, ancora oggi con una profonda carica innovativa per il nostro Paese; un insegnamento che a ragione ci porta a considerare Marco Pannella un grande maestro di legalità.
Sono nato a Pescara il 18 settembre 1955 e vivo a Francavilla al Mare con mia moglie Francesca e i miei figli Camilla e Claudio. Ho una formazione umanistica, acquisita frequentando prima il Liceo Classico G.B. Vico di Chieti e poi l’Università di Padova, dove mi sono laureato in Filosofia con Umberto Curi. Il primo lavoro è stato nella cooperazione: un’esperienza che ha segnato il mio futuro. Lì ho imparato a tenere insieme idealità e imprenditorialità, impegno individuale e dimensione collettiva, profitto e responsabilità. Negli anni seguenti ho diretto un’agenzia di sviluppo locale e promozione imprenditoriale, sono stato dirigente in un ente locale, ho lavorato come consulente anche per importanti aziende globali. Oggi sono presidente di una start up cooperativa: evidentemente i grandi amori tornano di prepotenza, quando meno te lo aspetti. Nel lavoro mi piace condividere progetti, costruire percorsi inediti, fare squadra, veder crescere giovani professionalità. Amo leggere e ascoltare musica, camminare in montagna e, appena possibile, intraprendere un nuovo viaggio.
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