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di Francesco Lo Piccolo.
Ci sono parole pesanti come pietre, parole che trasformano la realtà e che ci passano sopra come se fossero leggere come piume. Una di queste parole oggi è “migranti” dove migranti non rappresenta più persone, uomini, donne, vecchi e bambini, ma “soggetti” che vengono visti unicamente come problemi o al massimo come risorse…fonte di problemi o fonte di guadagno. Più o meno utili. Come un attrezzo da lavoro, come una qualsiasi macchina.
Ed è questa secondo me la vera catastrofe umanitaria di cui parla Papa Francesco. Una catastrofe umanitaria che non riguarda tanto le migliaia di persone che scappano da guerre, da fame e morte, quanto soprattutto noi che non vediamo più l’altro come una persona, come uno di noi. La vera catastrofe è che non siamo più in grado di vedere quello che abbiamo perso: l’umanità. Del resto cosa già avvenuta: fu proprio non vedendo gli altri come persone che si sono potuti compiere gli scempi del secolo scorso, si sono potuti far morire nelle camere a gas e nei forni crematori milioni tra ebrei, zingari, omosessuali, oppositori politici… Erano uomini, donne, vecchi e bambini? No, per le SS, erano solo problemi. Problemi come lo sono stati vent’anni fa, non un secolo fa, i musulmani bosniaci massacrati dalle bande di Mladic. Lo ricorda nel suo bellissimo e duro “La tana dell’odio” lo scrittore Giovanni D’Alessandro, nato a Ravenna da famiglia abruzzese e che ho conosciuto anni fa alla presentazione di un altro suo romanzo.
Ma ci sono anche altre parole che caratterizzano il nostro tempo in termini di catastrofe, e allora penso ai titoli dei giornali, a quando leggiamo e poi usiamo la parola “invasione” che significa pericolo dal quale dobbiamo difenderci. L’Europa, la nostra ricca Europa, alla fine riesce a vedere solo nemici e per salvarsi dai nemici non ha che una strada: costruire muri. Ora lo vuole fare anche l’Austria. E’ proprio vero: più si ha e più si vuole. E così ecco che noi, i ricchi, siamo i meno accoglienti, meno dei Paesi poveri. Lo dicono i dati dell’Unhcr, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Dati che sintetizzo: i dieci Paesi del mondo più accoglienti sono oggi la Turchia, con oltre 2 milioni di profughi (siriani); il Pakistan, con 1 milione e mezzo (afgani); il Libano, con 1 milione e 200mila (siriani); l’Iran, con 1 milione (afgani); l’Etiopia, con 700mila (sud sudanesi, somali, eritrei); la Giordania, con 650mila (siriani); il Kenya, con 550mila (somali); l’Uganda, con 428mila (sud sudanesi); il Ciad, con 420 mila; il Sudan, con 356 mila (sud sudanesi). E l’Europa (dove vivono 550 milioni di persone) che fa? Sempre in base dai dati dell’Unhcr nel 2015 le persone accolte sono state 1 milione e 200 mila. Come quelle accolte dal Libano, paese con 4 milioni e 300mila persone. Alla faccia dei problemi.
Concludo con un’altra parola oggi di moda e questa parola è “deportazione”, ovvero quello che sta avvenendo ai danni dei soliti migranti e profughi che da Lesbo e da altri porti greci vengono deportati in Turchia, in forza di un accordo tra Europa e Turchia. Non so voi, ma a me deportazione fa venire in mente quello che accadde durante la Seconda Guerra Mondiale quando all’interno del piano di riorganizzazione etnica dell’Europa dell’Est, i nazisti usarono sia le linee ferroviarie che altri mezzi per trasferire i membri dei vari gruppi etnici presi di mira e costringerli ad abbandonare le zone in cui risiedevano. Nel 1941, i leader nazisti decisero poi di realizzare la “Soluzione Finale” cioè l’uccisione sistematica e in massa dell’intera popolazione ebraica europea.
Ecco a questo siamo arrivati…all’uso di parole pesanti come pietre, anzi macigni, come fossero leggere, delle piume.
Sono giornalista dal 1980. La mia attività professionale è cominciata a metà degli anni Settanta collaborando col settimanale Nord Est a Venezia. Dopo un breve periodo al Diario di Palermo, sono stato assunto a il Mattino di Padova. Dal 1986 fino al 2011 ho lavorato a Il Messaggero nelle redazioni di Roma, Milano e Chieti. Ho visitato paesi, vissuto e raccontato la tragedia della fame in Etiopia a metà anni Ottanta, il fermento che animava Berlino Est pochi giorni prima della caduta del Muro, le rivolte in Albania al tempo di Enver Hoxha, le prime riforme a Mosca con l’elezione di Gorbaciov.
Ho avuto la fortuna di aver incontrato buoni maestri. Da loro, oltre che da mio padre, che era maestro di scuola, ho appreso che chi scrive, chi è giornalista, ricerca la verità e non manipola i fatti ad uso e consumo di una o di un’altra parte politica. Attualmente ho un blog sul sito Huffingtonpost Italia dove scrivo di informazione, giustizia, diritti, carcere. Dal 2008 dirigo Voci di dentro, rivista scritta dai detenuti di alcune carceri abruzzesi. Entrato nel mondo del carcere come volontario, ho fondato con altri l’associazione Onlus Voci di dentro (della quale sono presidente) che si occupa del reinserimento degli ex detenuti. Fortemente convinto che non ci sono muri da innalzare ma porte da aprire e che occorre dare opportunità di vita e di conoscenze a persone che, non per colpa loro, queste opportunità non hanno avuto, tengo dei laboratori di scrittura e sulla legalità nelle carceri di Chieti e Pescara. Ho fondato e sono presidente di Alfachi cooperativa sociale di tipo B con l’intento di creare occasioni di lavoro per detenuti ed ex detenuti.
Amo leggere, scrivere, conoscere, studiare (due anni fa mi sono riscritto all’università, corso di laurea in sociologia e criminologia). Soprattutto amo la mia famiglia, mia moglie, e i miei due figli.
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