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“Secondo i più recenti dati pubblicati dal Ministero dell’Interno, sono 3.090 le strutture di accoglienza temporanee per richiedenti asilo presenti sul territorio nazionale (CAS: centri di accoglienza straordinaria) e dislocate in tutte le regioni italiane, 430 sono i progetti attivati all’interno della rete SPRAR gestita dagli enti locali (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), 13 sono i centri governativi (CARA: centri di accoglienza per richiedenti asilo)”.
Si apre con questi dati il Rapporto presentato qualche giorno fa da Cittadinanzattiva, Lasciatecientrare (Campagna nazionale contro la detenzione amministrativa dei migranti) e Libera. Lo studio supporta la campagna inCAStrati. Iniziative civiche sulla gestione dei centri di accoglienza straordinaria per richiedenti asilo.
In effetti i termini del dibattito in Italia sulle politiche di accoglienza dei richiedenti asilo spesso si avvicinano più a una discussione “da bar” che a un esame consapevole delle tematiche sul tappeto. Gli stessi numeri sulla quantità di sbarchi e di presenze sul territorio nazionale sono spesso inattendibili e oggetto di interpretazioni strumentali. Le strutture di accoglienza sono “fantasmi” che popolano le fantasie di ciascuno di noi, così come l’entità della spesa per attuare l’accoglienza. Quasi del tutto indisponibili, inoltre, le informazioni relative alle condizioni di vita dei richiedenti asilo. In questo quadro ognuno è autorizzato a immaginare ciò che vuole, proitettando sulla realtà i propri timori e le proprie fantasie.
Per sfatare troppi luoghi comuni e iniziare a fare chiarezza Cittadinanzattiva, Lasciatecientrare e Libera hanno inteso promuovere “iniziative civiche” al fine di rendere disponibili le necessarie informazioni sul funzionamento e la gestione del sistema di accoglienza. “ (…)abbiamo rivolto al Ministero dell’Interno ed alle Prefetture italiane una serie di istanze di accesso civico, ai sensi del D.lgs 33/13 sulla trasparenza della Pubblica Amministrazione, chiedendo la pubblicazione dell’elenco dei CAS presenti sul territorio nazionale, degli enti gestori, di informazioni inerenti gare, convenzioni, rendicontazioni, esiti delle attività di monitoraggio sui servizi erogati. Al contempo è stata avviata un’attività di monitoraggio dei centri, attraverso l’osservazione diretta delle strutture (ove possibile) e colloqui con ospiti, volontari e lavoratori”.
Come purtroppo era prevedibile, il Paese in cui tutti proclamano l’inviolabile principio di trasparenza ha fornito risposte opache. Centosei sono state le istanze di accesso civico presentate alle Prefetture. Ben cinquantadue hanno ritenuto di non rispondere; tra quelle che hanno risposto la maggior parte si è limitata a fornire informazioni generiche, lacunose, talora contraddittorie. I primi esiti del lavoro di monitoraggio, per altro verso, ci restituiscono un quadro preoccupante. Almeno due aspetti lasciano sconcertati. Da un lato, nonostante le scoperte delle indagini di Mafia Capitale l’accoglienza resta terreno aperto alle scorribande del malaffare. Dall’altro viene da chiedersi come sia possibile che ci sia così poca attenzione alle reali condizioni di vita dei richiedenti asilo. C’è un’ineludibile responsabilità del Paese verso migranti e richiedenti asilo. Eppure noi stiamo dimostrando di essere del tutto “irresponsabili”. Basta leggere qualche passaggio del lavoro di Yasmine Accardo per rendersene drammaticamente conto.
Viaggio nei CAS di Yasmine Accardo – LasciateCIEntrare
(…) A fronte della mancata pubblicazione di una mappa dei CAS, si è deciso di avviare comunque un monitoraggio delle strutture di accoglienza in diverse regioni d’Italia, sulla base per lo più su segnalazioni delle reti dei migranti o su articoli dei giornali. I pochi mezzi a disposizione hanno permesso tra i mesi di gennaio 2015 e dicembre 2016 di monitorare per lo più CAS del Sud ed in particolare delle regioni Campania, Calabria e Sicilia. In collaborazione con Kasbah, Centro Rialzo, Garibaldi 101 e Borderline Sicilia oltre alla rete antirazzista catanese. I vari centri visitati sono stati monitorati più volte e mantenendo i contatti con i migranti all’interno.
Di seguito l’elenco dei CAS visitati:
Il quadro è purtroppo, nella maggior parte dei casi deprimente. L’accoglienza è fin troppo spesso affidata a chi ha un’immediata possibilità di trovare una qualsivoglia sistemazione, favorendo in questo modo chi ha un “potere”, in territori come Campania, Sicilia e Calabria, spesso legato al malaffare. È la dinamica del caporalato, che le istituzioni hanno fatto propria: poco tempo per dare posto a tutti, poco importa se il posto sia un luogo dove i migranti bevono acqua da un pozzo, come nel CAS di Contrada Madonna della Salute in provincia di Benevento.
Una dinamica che ha permesso e continua a favorire un’accoglienza gestita da pochissimi,
sempre gli stessi, che continuano ad accumulare “numeri di persone”, a stiparli in posti improponibili ed a speculare costruendo veri e propri monopoli. Emblematici anzitutto i casi di strutture improvvisate, come gli hotel, i ristoranti, i vecchi casolari convertiti in centri di accoglienza. Ne sono esempio la pizzeria Da Mario a Campagna e l’Hotel di Francia a Giugliano, entrambi in provincia di Salerno. La prima ospita 30 profughi, la seconda inizialmente 350 poi ridotti a 200, infine, chiusa il 22 dicembre 2015.
In strutture di questo tipo operano staff spesso del tutto impreparati a gestire il fenomeno complesso dell’accoglienza; in alcuni casi si è riscontrato che gli operatori non conoscono neppure l’inglese né risultano avere alcuna preparazione in materia di protezione internazionale. Situazioni simili si sono riscontrate ad esempio a Sarno (SA), presso l’Hotel Fluminia, presso il CAS di Feroleto (CZ), dove non si tengono corsi di italiano per gli ospiti e non esiste staff; così come nella struttura già citata dell’Hotel di Francia nel Giuglianese. Alcuni enti gestori si affidano ad un unico operatore/mediatore per l’intera struttura, che deve spesso svolgere innumerevoli funzioni: attività di mediazione, accompagnamento in questura, presso la ASL e in ospedale, distribuzione dei pasti e della gestione di eventuali situazioni di malcontento degli ospiti.
Simili situazioni risultano diffuse presso diversi centri dislocati nelle province campane e in particolare lungo il litorale Domizio.
Altrettanto frequenti sia casi di operatori impegnati di fatto a tempo pieno, a fronte di contratti di lavoro part-time, sia casi di lavoratori non retribuiti che, pertanto, abbandonano il centro dopo poche settimane. Una situazione che determina un turn-over continuo, a discapito delle attività di accoglienza ed assistenza, che vengono ridotte al minino indispensabile, rendendo di fatto i centri di accoglienza semplici parcheggi per i richiedenti asilo in attesa dell’autobus per la Commissione territoriale che valuterà la loro domanda di asilo.
L’assenza di assistenza adeguata e di percorsi di inclusione è fonte di frequenti casi di depressione o di ingresso dei migranti nei circuiti del caporalato, del lavoro nero, dello spaccio e della prostituzione.
Nei CAS del napoletano i migranti raccontano di trovare sistematicamente lavoro tramite “servizio di caporalato”, così come gli ospiti dei CAS nella provincia di Benevento riferiscono di lavorare in nero nelle vicine campagne dietro un compenso di 25 euro per 10 ore lavorative. situazioni simili si sono riscontrate in Calabria, ad Amantea e Lamezia Terme.
La stessa geografia dell’accoglienza al sud disegna un quadro di periferizzazione diabolico. Diverse le strutture lontanissime dai centri abitati, come nel caso di Feroleto in Calabria o di diversi Hotel nella provincia di Salerno, nell’Agrigentino e nel Cosentino. Altrettanto numerosi i CAS situati in zone ad altissima criticità sociale, come in tutta la fascia del casertano che va da Licola a Casal di Principe lungo la Domiziana, dove sono concentrati numeri elevatissimi di migranti: nel solo giuglianese sono presenti oltre 1000 migranti in circa 7 strutture che non svolgono nessun tipo di attività.
In diversi CAS risulta oramai diffusa la pratica della cura delle malattie degli ospiti da parte dello stesso gestore: si somministra ordinariamente paracetamolo e nimesulide per le più varie patologie. Lo si è riscontrato nel CAS di Feroleto antico, di Fluminia a Sarno, nel CAS di Spineto (CS), nel CAS Onda del Mare (Licola, Napoli). A fronte della assenza di adeguati servizi di assistenza psicologica, inoltre, si registrano frequenti casi di patologie e disturbi psicologici, di depressione, fino a tentativi di suicidi.
In diversi centri di prima accoglienza, inoltre, si continua a registrare elevata presenza di minori che spesso restano con gli adulti fino a compimento della maggiore età senza che ci sia alcun tipo di intervento. Emblematico il caso di Pedivigliana nella provincia di Cosenza, dove insieme a soli uomini era presente una minore nigeriana da diversi mesi, nonostante la stessa avesse manifestato la sua età.
Continua ad essere latitante il coinvolgimento degli enti locali: in diverse occasioni i sindaci non vengono a conoscenza della presenza dei migranti nel proprio territorio; tagliando del tutto la possibilità di un percorso di conoscenza reciproca che è invece il punto di partenza per un’accoglienza dignitosa ed umana.
In alcune zone, infine, l’accoglienza purtroppo continua ad essere gestita da soggetti già in passato denunciati, ma che continuano a fare comodo ad alcune Prefetture. In Campania le associazioni Garibaldi 101, Less e Inca presentarono un esposto alla Procura della Repubblica, per trattamenti disumani e degradanti, frode e gestione non trasparente della protezione civile; all’interno dell’esposto vie erano la Family, la ENgels, la Cooperativa Millennium ed Ali di Riserva; i responsabili di quest’ultima vennero arrestati per frode ed abuso di ufficio; in Calabria l’associazione Kasbah ha presentato un esposto contro la Malgrado tutto e, in seguito, l’associazione Zingari 59 per gli stessi motivi.
Alcuni soggetti, come la Family e la Cooperativa Maleventum, hanno in gestione l’accoglienza rispettivamente di 1.500 e di 900 migranti sparsi su tutto il territorio campano. La Malgrado tutto, in Calabria, nonostante la più che discutibile gestione del CIE di Lamezia Terme del passato, più volte denunciata da Kasbah, continua a gestire nello stesso luogo un CAS.
Per non parlare dei tempi di attesa delle decisioni Commissioni territoriali sulle domande di asilo, che in particolare nell’Agrigentino e nel napoletano si sfiorano i due anni!
Una prima accoglienza che non finisce mai. Mentre in alcuni centri in Trentino ed Emilia Romagna si segnala una tipologia di “accoglienza” CAS dei CAS del sud solo per i primi tre/quattro mesi di permanenza (il tempo necessario ad ottenere il primo permesso di attesa asilo), per passare poi ad una fase due più centrata sulla persona, l’orientamento al territorio, l’inclusione vera e propria a anche attraverso percorsi personalizzati, trasformando quindi il tempo dell’attesa dell’intervista in Commissione in tempo costruttivo ed attivo. Nei centri del meridione il tempo dell’attesa si dilata all’infinito, si fossilizza in dinamiche da acquario, di assistenzialismo che non garantisce quasi mai il diritto e che anzi addormenta giovani ventenni, i quali, una volta ottenuto un documento di soggiorno troveranno strada facile nelle vie dello sfruttamento e che in troppe situazioni non hanno mai nemmeno potuto imparare la lingua.
Sono nato a Pescara il 18 settembre 1955 e vivo a Francavilla al Mare con mia moglie Francesca e i miei figli Camilla e Claudio. Ho una formazione umanistica, acquisita frequentando prima il Liceo Classico G.B. Vico di Chieti e poi l’Università di Padova, dove mi sono laureato in Filosofia con Umberto Curi. Il primo lavoro è stato nella cooperazione: un’esperienza che ha segnato il mio futuro. Lì ho imparato a tenere insieme idealità e imprenditorialità, impegno individuale e dimensione collettiva, profitto e responsabilità. Negli anni seguenti ho diretto un’agenzia di sviluppo locale e promozione imprenditoriale, sono stato dirigente in un ente locale, ho lavorato come consulente anche per importanti aziende globali. Oggi sono presidente di una start up cooperativa: evidentemente i grandi amori tornano di prepotenza, quando meno te lo aspetti. Nel lavoro mi piace condividere progetti, costruire percorsi inediti, fare squadra, veder crescere giovani professionalità. Amo leggere e ascoltare musica, camminare in montagna e, appena possibile, intraprendere un nuovo viaggio.
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