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Questa settimana riportiamo la riflessione di Francesco Lo Piccolo, giornalista, nostro collaboratore, volontario in un’associazione che si occupa del reinserimento degli ex detenuti e direttore di “Voci di dentro”, rivista scritta dai detenuti che partecipano ai laboratori di scrittura che tiene in alcuni carceri abruzzesi. In poche righe Lo Piccolo e Nicola S., uno dei detenuti che partecipano al progetto Voci di dentro, riassumono l’importanza del legame tra figli e genitori, che non può e non deve venire meno neanche quando questi ultimi abbiano avuto problemi con la legge.
di Francesco Lo Piccolo
Sul canale youtube dell’associazione Voci di dentro c’è un breve video dove si vedono due adulti che giocano a carte con dei bambini. Sono due detenuti con i loro figli e il video è una breve sintesi di alcune ore di filmato girato alcuni mesi fa nella casetta azzurra del carcere di Pescara. La qualità non è certo buona, soprattutto l’audio non è granché, ma la gioia dei due bambini e dei due genitori si coglie in tutta la sua evidenza. Mostra quello che sta dietro, mostra la doppia afflizione. E che va a colpire non solo chi si trova in carcere, ma anche la sua famiglia. Doppia afflizione che per un momento scompare mostrando appunto una grande gioia e felicità.
Quell’incontro che bene si vede nel video era qualcosa di eccezionale. Il frutto di un esperimento, il risultato della partecipazione di Voci di dentro a “Europe Code Week”, la settimana europea della programmazione che si è svolta lo scorso ottobre durante la quale migliaia di studenti di tutta Italia, anzi di tutta Europa, hanno imparato con il gioco che cosa è la programmazione e come funziona il linguaggio del pc.
Ovviamente come Voci di dentro, associazione da nove anni impegnata nel lavoro in alcune carceri d’Abruzzo, il gioco e la programmazione sono state fatte in carcere. In due fasi: nella prima fase sono stati i bambini che hanno appreso i meccanismi e le regole del gioco; nella seconda sono stati i bambini che hanno insegnato ai loro genitori. Non solo il metodo, di fatto quei ragazzini hanno insegnato una regola, la regola che è poi alla base di qualunque relazione…e dei rapporti sociali, a cominciare dal gioco tra due bambini per arrivare ad esempio all’accordo tra due o più Stati. Una lezione di vita e non solo.
Guardando il video si vede la gioia. Ma è la gioia di un momento. Alla fine di quell’incontro quel padre e quel bambino verranno divisi, fino al prossimo incontro, o meglio fino al prossimo colloquio. Che non è certo così frequente come magari ci si immagina: in un anno un padre o una madre che sono in carcere possono vedere il proprio figlio quattro massimo sei ore in un mese (sempre se non hanno commesso reati considerati gravi). Ovvero 48 massimo 72 ore all’anno. Cioè due giorni, massimo tre giorni. E allora mi chiedo: che colpa ha il figlio di un detenuto? E come vive questo rapporto negato? La risposta già la sappiamo. Non è un caso che all’interno del carcere ci sono sempre le stesse persone, e guarda caso sono spesso parenti…ci sono padri e ci sono figli diventati grandi, alle volte esce il padre ed entra il figlio. Esce il figlio, entra il padre.
E il genitore detenuto?
Scrive sulla rivista di Voci di dentro Nicola S.:
“L’attesa per il colloquio inizia la sera prima: domani vedrò mia moglie e i miei bambini, speriamo che tutto vada bene. Cerco di dormire pensando ai loro volti sorridenti e a quello che dirò loro, sperando di non dimenticare nulla, ma tanto so che non si riesce a ricordarsi tutto. Meglio farmi un promemoria. Mi alzo dal letto e mi metto a scrivere: 1) Come sei messa con i soldi? 2) Novità dall’avvocato? 3)Vai da mamma e digli di non preoccuparsi per me, ma di aiutare voi… tanto io ormai … 4) A scuola come vanno i bambini? 5)I tuoi come stanno? Ecc…
Così almeno non dimentico nulla. Ora posso stare tranquillo e cercare di dormire.
Ore 6. 00, gli occhi si aprono da soli, è tutto buio. Cavolo! Tra due ore aprono e mi devo fare la doccia, la barba, speriamo che l’acqua sia calda. Si sarà svegliata anche Federica? Ma no, per lei e i bambini è ancora presto. Mi alzo e mi faccio il caffè, poi farò colazione. Mi guardo allo specchio, più volte, cerco l’espressione giusta per andare al colloquio che possa nascondere al meglio la mia sofferenza. Non voglio che si preoccupino per me. Allora, il sorriso, così va bene. Lo sguardo è sereno? Mah, così-così… Sarà l’ ansia dell’attesa…Cosa mi metto? Questi calzoni e… la maglia grigia. No, metto questi altri invece, mi stanno meglio addosso. E pure la maglia… quella rossa è più carina? Ma sì dai, va bene questa! Bene. Ora c’è solo da aspettare…Magari già stanno qui fuori. Continuo a passeggiare in due metri quadrati, facendo giù e su… Ma quando chiamano? Le orecchie sono vigili, pronte a cogliere ogni voce che arriva dal corridoio….
Ore 11,40: sento la guardia gridare il mio cognome. I pensieri vanno a tremila. Allora il caffè l’ho preparato, le merendine pure, i bicchieri anche… Ecco, vado. Scendo nella cella antistante la sala colloqui. Attesa, altra attesa: circa 30 minuti! Passeggio freneticamente… Ecco l’ agente che ci apre entro nella sala colloqui, li vedo seduti ed all’improvviso il mondo dove vivo scompare.
Abbraccio mia moglie, stringo tra le mie braccia i miei figli. Tiro fuori il foglietto e comincio a dire a Federica le cose che mi ero appuntato. Intanto prendiamo il caffè, la bambina scarta le merendine mentre io la coccolo, il mio ometto inizia a parlare della scuola, Federica mi racconta qualcosa della settimana: Va tutto bene, mi dice. Il tempo di un sorriso, un abbraccio, un bacio e già senti la guardia che chiama la fine del colloquio. Lo sguardo triste dei miei figli che devono lasciarmi mi provoca un magone allo stomaco, ma ormai sono bravo a mascherare questa mia sofferenza e cerco sorridente di rincuorarli: Dai bella di papà! Ci vediamo la prossima settimana. Fai la brava e tu figlio mio cerca di divertirti con responsabilità. Vi amo.
E comincia l’attesa per il prossimo incontro. É incredibile quanto è lungo questo tempo: la settimana non passa mai, i minuti diventano mesi, le ore anni…E quando finalmente vedi i tuoi cari, un’ora sembra ridursi a un minuto. In un anno un detenuto, se ha la famiglia vicino all’istituto, riesce a vedere i suoi affetti più cari per non più di due giorni: 48 ore in un anno. Se invece si hanno i familiari lontano o fuori regione, al massimo riuscirà a vederli per un solo giorno: 24 ore in un anno”.
Ed è proprio per questo, e cioè per dare continuità al rapporto affettivo tra padre detenuto e figlio piccolo ho pensato e realizzato con i volontari di Voci di dentro l’esperimento con “Europe Code Week”. Perché quel gioco nella casetta azzurra del carcere di Pescara ha voluto essere esempio di buone pratiche e di rispetto dei diritti. Diritti dei bambini per tutelare i diritti dei grandi.
Per saperne di più:
www.vocididentro.it
www.bambinisenzasbarre.org
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