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Tante volte parliamo di imprese sociali ma raramente ci soffermiamo a riflettere su quali siano le loro caratteristiche peculiari e quali le norme che ne regolano l’attività. In termini generali possiamo ricordare che il quadro di riferimento è fornito dal Decreto Legislativo 155 del 2006 e che l’ormai prossima riforma del Terzo settore dovrebbe tornare sull’argomento per favorire un più ampio processo di sviluppo dell’impresa sociale, oggi di fatto limitata alla sola cooperazione sociale.
Peraltro di recente il quadro dei soggetti operanti nell’economia sociale si è ulteriormente arricchito con le startup innovative a vocazione sociale, che hanno trovato precisa definizione nell’articolo 25 comma 4 del D.L. 179/2012 convertito con Legge 221/2012. Le SIAVS (startup innovative a vocazione sociale) completano il profilo delle startup innovative, introducendo nella cultura d’impresa anche le dimensioni dei valori e degli impatti sociali.
Per compiere questo approfondimento abbiamo scelto di avvalerci di una ricerca dal titolo “Imprenditorialità vs. responsabilità sociale: la startup innovativa a vocazione sociale”, elaborata da Walter Vesperi, Vittorio D’Aleo, Giacomo Morabito, Salvatore Lo Bue del Dipartimento di Scienze Economiche, Aziendali, Ambientali e Metodologie Quantitative dell’Università di Messina e presentata in occasione del Colloquio scientifico sull’impresa sociale tenutosi il 22-23 maggio 2015 presso il Dipartimento PAU (Patrimonio, Architettura, Urbanistica) dell’Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria.
Vi proponiamo la prima parte della ricerca, orientata alla ricostruzione del quadro giuridico dell’impresa sociale e delle startup innovative a vocazione sociale, rinviando al link la lettura del testo integrale.
Introduzione
Il presente lavoro si pone come obiettivo quello di analizzare le startup innovative a vocazione sociale, quale complesso fenomeno imprenditoriale orientato all’innovazione, in settori tradizionalmente a carattere sociale.
Con l’articolo 25 comma 4 del D.L. 179/2012 convertito con Legge 221/2012, il legislatore ha introdotto nell’ordinamento giuridico italiano la qualifica di startup innovativa a vocazione sociale (d’ora in avanti per brevità denominate “SIAVS”), rappresentando un elemento importante di novità nel panorama del tessuto economico e sociale italiano. E’ bene evidenziare, sin da subito, che le SIAVS non rappresentano una nuova forma giuridica di fare impresa bensì una qualifica; un nuovo modo di intraprendere un’attività economica.
L’interesse del dibattito scientifico, intorno a questa nuova “qualifica imprenditoriale”, deriva da contemporanea presenza di diversi elementi di complessità aziendale. In particolare, è possibile individuare già dalla denominazione una serie di elementi di criticità:
L’innovazione viene spesso considerata come una importante variabile economica nella crescita di un paese, ma completamente sconnessa dalla finalità sociale. L’intervento del legislatore è stato quello di “collegare” l’aspetto sociale con l’innovazione. Essa si trasforma in un primo tempo sia in nuove opportunità economiche\imprenditoriali, e in un secondo tempo traduce i sui effetti sullo stato sociale della comunità.
I “classici” paradigmi delle organizzazioni profit oriented, non possono essere applicati in maniera semplicistica alle imprese sociali, o in generale al settore no profit oriented. Per tale motivo, lo studio e l’organizzazione delle SIAVS impongono una riflessione sull’imprenditorialità e sulle risorse manageriali necessarie per la gestione delle stesse.
Il lavoro, non ha l’ambizione di rappresentare una esaustiva analisi del fenomeno delle SIAVS, ma vuole rappresentare un primo elemento di riflessione nel vivace dibattito scientifico intorno alle SIAVS come strumenti di imprenditorialità e di promozione di valori sociali.
Tratti distintivi dell’impresa sociale e SIAVS: elementi di riflessione
L’impresa sociale e le SIAVS, introdotte dal legislatore italiano rispettivamente dal Decreto Legislativo 155/06 e dal Decreto Legge 179/2012, non rappresentano delle nuove forme giuridiche con cui svolgere l’attività di impresa, ma delle nuove qualificazioni che possono essere assunte da soggetti giuridici costituiti con qualsiasi forma giuridica.
Al fine di comprendere questo fenomeno (imprese sociali e SIAVS) e le sue caratteristiche peculiari, è necessario partire da un breve excursus normativo. Concentrando l’attenzione sulle imprese sociali, attraverso un’analisi della normativa di riferimento, emergono interessanti spunti di riflessione sulla natura e sulle caratteristiche di questa qualifica.
Partendo dall’articolo 1° del sopra citato Decreto Legislativo del 24 marzo 2006, che recita: “Possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutte le organizzazioni private, ivi compresi gli enti di cui al libro V del codice civile, che esercitano in via stabile e principale un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale, e che hanno i requisiti di cui agli articoli 2, 3 e 4”.
Risulta evidente come, sin dal primo articolo, il legislatore abbia voluto garantire la libertà di organizzazione alle imprese che volessero concorrere alla qualifica di imprese sociali.
In particolare, possono acquisire la qualifica di “impresa sociale”:
Da questo elenco devono essere escluse le imprese individuali, in quanto esse non hanno uno statuto o un atto costitutivo in cui inserire le clausole relative ai requisiti esposti negli artt. 2, 3 e 4 del Dlgs 155/2006. Allo stesso tempo, non possono acquisire la qualifica di impresa sociale le pubbliche amministrazioni e tutte le organizzazioni i cui atti costitutivi limitino, anche solo indirettamente, l’erogazione dei beni e dei servizi in favore dei soli soci, associati o partecipanti.
Si deve mettere in risalto, che la natura del soggetto titolare della qualifica di impresa sociale, deve essere un’organizzazione privata, non essendo possibile ravvisare un’impresa sociale esercitata da un ente pubblico.
In merito alle società di capitali, bisogna porre una riflessione nel caso di società di capitali unipersonali (srl o spa). L’esercizio di un’impresa sociale da parte di una società di capitali con un unico socio, non appare direttamente in contrasto con quanto espresso dal decreto, non essendo prevista dalla norma stessa una specifica causa di scioglimento al venir meno della pluralità dei componenti dell’organizzazione.
Una vasta dottrina ammette la possibilità società unipersonali possano assume la qualifica di impresa sociale (Fici A., Galletti D., 2007; Fusaro 2007). Appare immediato il contrasto dell’esercizio di un’impresa sociale da parte di una impresa unipersonale e all’intenzione riconosciuta di tale modello di valorizzare la caratteristica di imprenditorialità collettiva, ovvero unire più persone attorno ad un progetto sociale comune.
Proseguendo con l’analisi della normativa, con il fine di comprendere la definizione data dal legislatore di impresa sociale, l’articolo 2 identifica i beni e servizi di utilità sociale e di conseguenza i settori in cui possono operare le imprese sociali:
Nell’art. 2, comma 2, afferma che indipendentemente dall’esercizio della attività di impresa nei settori sopracitati, si può acquisire la qualifica di impresa sociale se le organizzazioni favoriscono l’inserimento lavorativo di: lavoratori svantaggiati e lavoratori disabili.
Ulteriore elemento peculiare dell’impresa sociale, è presente nell’art. 3, ovvero l’assenza dello scopo di lucro. A norma di tale articolo, l’impresa sociale se costituita sotto forma di società non deve distribuire, neanche indirettamente, gli utili o gli avanzi di gestione se costituita sotto forma di altri enti come associazioni, fondazioni o comitati.
In linea con quanto previsto dall’articolo 7, nella denominazione dell’organizzazione, è fatto obbligo per la stessa, l’uso della locuzione “impresa sociale”. Quest’ultima si dovrà aggiungere (e non sostituire), con le altre locuzioni obbligatorie per legge, come la tipologia societaria (spa, srl, snc, Onlus, ecc).
Passando all’analisi delle SIAVS, la norma di riferimento è il D.L. 179/2012, convertito in legge n. 221/2010, contente “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese”.
Si può comprendere, sin da subito, come l’obiettivo di tale intervento legislativo sia stato quello di dare impulso alla ricerca e alle innovazioni tecnologiche, quali fattori essenziali per il progresso e lo sviluppo economico, cultura e al contempo alla competitività delle imprese.
Secondo l’art. 25 del sopracitato D.L., viene definita impresa start-up innovativa, la società di capitali, anche sotto forma di cooperativa, che rispettano due tipologie differenti di requisiti: cumulativi e alternativi.
La prima tipologia di requisiti “cumulativi”, rappresentano requisiti che la potenziale SIAVS deve possedere contemporaneamente e quindi, cumularsi fra di loro. Tali requisiti sono:
Rientrano nella seconda tipologia di requisiti, ovvero “alternativi”, ovvero caratteristiche che la potenziale SIAVS deve possiede almeno uno dei seguenti ulteriori requisiti:
In merito all’ultimo requisito alternativo, appare necessario precisare che secondo un “parere” del Ministero dello Sviluppo Economico, in risposta a un quesito sollevato dalla Camera di Commercio di Verona del 11 luglio 2014, “La scelta legislativa appare orientata chiaramente. […] il legislatore dispone che la start up possa essere non soltanto titolare o licenziataria ma anche “depositaria” di tale privativa. Questo significa che il requisito sarebbe soddisfatto anche nel caso in cui la start up avesse presentato domanda per la registrazione del brevetto, pur non conoscendone ancora l’esito”.
Dalla disamina della lettura, emerge che l’aspetto sociale di queste start up, non deve essere considerato come un aspetto secondario ma un elemento fondamentale della loro natura4 e caratterizzante rispetto al loro agire. L’obiettivo principale di queste imprese non è rispondere ai bisogni del mercato e il conseguimento di un utile, ma rispondere al bisogno di innovazione e benessere di una società.
Le start up innovative, spesso adottano modelli di business poco attraenti per i finanziatori, manifestando maggiore difficoltà nella nascita e nello sviluppo rispetto ad altre imprese. Per tale motivo, il legislatore ha previsto una serie di norme agevolative.
Il ruolo sociale dell’impresa, venne sottolineato da Kramer (1981), che cercò di interpretare le imprese sociali focalizzando l’attenzione sulle caratteristiche peculiari di: tutela, sviluppo e promozione di bisogni e interessi diffusi per i cittadini in generale o per particolari gruppi o per l’inclusione di genere (Wamboye, Adekola, Sergi 2015); la produzione di beni e servizi di utilità “sociale”, che può avvenire in forma stabile od occasionale, dipendente dalla pubblica amministrazione o in maniera autonoma; infine la redistribuzione sociale delle risorse.
Un’altra prospettiva di analisi legata alle difficoltà dello Stato di soddisfare (government failure), tutta la domanda di beni pubblici, ci viene fornita da Weisbrod (1975, 1988). Secondo Wiesbrod, la domanda di beni e servizi tenda a lasciare insoddisfatti tutti coloro che hanno esigenze che si discostano dalla media, come risultato la domanda di questi beni e servizi che non viene soddisfatta dalla imprese for-profit o dallo Stato, verrà soddisfatta solo dalle organizzazioni non-profit.
Numerosi sono i contributi di autori che sottolineano come le imprese sociali siano il risultato di un insieme di particolari fattori: tipologie di imprenditori particolarmente intenzionati a rilanciare la propria immagine o allargare la propria influenza, gruppi religiosi e non, reinvestimento di redditi non distribuiti, costole di multinazionali (Young 1983, 1997; Rose-Ackerman 1996; James 1989).
Un’interpretazione notevolmente diffusa e accettata (Hansmann, 1980) individua nel vincolo alla distribuzione di utili un modo per superare i fallimenti del contratto determinati dall’esistenza di asimmetrie informative tra produttore e consumatori (o donatori), che impediscono a questi ultimi di valutare e controllare ex-post la qualità del prodotto concordata ex-ante. Vincolandosi a non distribuire utili, l’organizzazione segnala al consumatore che non è interessata a sfruttare ex-post tali asimmetrie, riducendo la qualità del prodotto al fine di massimizzare il profitto.
In ultima battuta, le imprese sociali e le SIAVS, adottano dei particolari modelli di proprietà e di governance, caratterizzati non solo dal vincolo del divieto di distribuzione degli utili, ma anche dall’adozione di forme organizzative democratiche, considerate dal “comune senso” più affidabili e credibili delle imprese tradizionali, con un forte orientamento alla persona e ai valori. Al contempo, le caratteristiche tradizionalmente attribuite alle imprese private (flessibilità, economicità e innovatività) possono essere facilmente trasferite alle imprese sociali e SIAVS improtandole a criteri di solidarietà ed etica.
Sono nato a Pescara il 18 settembre 1955 e vivo a Francavilla al Mare con mia moglie Francesca e i miei figli Camilla e Claudio. Ho una formazione umanistica, acquisita frequentando prima il Liceo Classico G.B. Vico di Chieti e poi l’Università di Padova, dove mi sono laureato in Filosofia con Umberto Curi. Il primo lavoro è stato nella cooperazione: un’esperienza che ha segnato il mio futuro. Lì ho imparato a tenere insieme idealità e imprenditorialità, impegno individuale e dimensione collettiva, profitto e responsabilità. Negli anni seguenti ho diretto un’agenzia di sviluppo locale e promozione imprenditoriale, sono stato dirigente in un ente locale, ho lavorato come consulente anche per importanti aziende globali. Oggi sono presidente di una start up cooperativa: evidentemente i grandi amori tornano di prepotenza, quando meno te lo aspetti. Nel lavoro mi piace condividere progetti, costruire percorsi inediti, fare squadra, veder crescere giovani professionalità. Amo leggere e ascoltare musica, camminare in montagna e, appena possibile, intraprendere un nuovo viaggio.
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