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Ha diretto il film “Mirafiori Lunapark“, una favola sociale che parla dell’ex stabilimento di Torino (leggi l’articolo). Ma la pellicola che ha commosso gli operai della Fiat ricordando loro le battaglie sociali condotte negli anni ’80 è solo l’ultimo impegno in materia di sostenibilità, legalità, diritto al lavoro e cittadinanza attiva di Stefano Di Polito. Classe 1975, il regista torinese, tra i promotori dell’associazione Signori Rossi e coautore del saggio “C’è chi dice no”, ha raccontato a noi di Felicità Pubblica il suo impegno per una società migliore.
Com’è nata l’idea di Mirafiori Lunapark?
Mirafiori Lunapark è una favola autobiografica. Un omaggio sentimentale alla generazione dei nostri padri. Sono nato a Mirafiori da genitori operai e ho visto da vicino lo sfinimento della classe operaia. Purtroppo ho visto scomparire anche molti ex operai simbolo delle lotte comuniste nel nostro Paese. Ciononostante le fabbriche continuano a chiudere nell’indifferenza generale. Perdiamo il lavoro e la cultura proletaria indebolendo il tessuto vivo della nostra società. Ho pensato alla reazione di tre pensionati FIAT, quelli che hanno fatto le manifestazioni negli anni ’80. L’ennesimo gesto simbolico. Nel film di fronte all’indifferenza generalizzata sono ancora loro a occupare la fabbrica, con il sogno di farne un lunapark per trasferire i valori e la memoria di un’epoca direttamente ai loro nipoti.
Cosa rappresenta per lei lo stabilimento Mirafiori?
Il mio panorama dal balcone di casa. Il luogo in cui stavano i miei genitori quando non erano con me. Il prezzo che dovevano pagare per farmi crescere. Una regola della vita. Se vuoi crescere devi sudare. Lo stabilimento era anche un simbolo nazionale di cui andare fieri. Dentro e fuori la fabbrica si combattevano delle battaglie politiche per migliorare le condizioni di lavoro e per creare progresso e democrazia anche tra le classe più umili formate da immigrati che venivano dal Sud. Ora lo stabilimento si sta svuotando e il suo forte valore simbolico c’insegna che dobbiamo riprenderci la memoria sentimentale e politica di quei luoghi.
Come è stata accolta la pellicola nel capoluogo piemontese?
A Torino c’è stata una forte commozione. Il 27 agosto seicento persone sono andate al cinema a vedere la prima di Mirafiori Lunapark. Da lì una lunga processione di spettatori per sette settimane. Più di ottomila persone. Sono stato spesso nelle sale perché avevo bisogno di risentirmi parte di una comunità. Ho raccolto abbracci, lacrime e complimenti ma soprattutto molti ricordi. Queste persone si sono sentite degne del grande schermo e in dovere di ricostruire il proprio lunapark da trasferire alle nuove generazioni.
Da dove nasce l’esigenza di organizzare un tour civico in cui alla proiezione del film si associa un dibattito su un tema specifico?
Volevo rivivere in ogni città la stessa emozione sentita a Torino. Sentivo il bisogno di passare il testimone da un simbolo come Mirafiori a esperienze locali con l’impegno civico. La matrice comune è la cittadinanza attiva. Il desiderio di impegnarsi per cambiare la nostra società. Ho ospitato in sala presìdi della Fiom, testimoni di giustizia, animatori culturali, associazioni ambientaliste, comunità di immigrati. Ho cercato di riattualizzare le lotte operaie e di mettere in evidenza l’importanza delle esperienze di impegno civico che ci sono in tutta Italia.
Lei è stato promotore anche di altre iniziative a forte vocazione sociale. Quali sono le principali?
Negli anni ho indirizzato il mio talento comunicativo solo a supporto della pubblica utilità. È stato il mio contributo all’articolo 4 della Costituzione Italiana che dice che tutti dobbiamo concorrere con il lavoro al progresso materiale e spirituale della società. Ho fondato con Alberto Robiati il Laboratorio Creativo a Torino e ho realizzato campagne sui comportamenti sostenibili con Slow Food o iniziative per la legalità come la diffusione in tutta la città di distributori automatici di Costituzione. Ho sviluppato molti progetti sociali verso i giovani e le comunità di immigrati intervenendo direttamente nelle periferie. Ultimamente mi sto occupando di costruire dei presìdi di legalità attorno alle aziende pubbliche dei rifiuti per prevenire la corruzione e favorire la gestione condivisa dei beni comuni.
Com’è nata l’associazione Signori rossi e di cosa si occupa?
Il destino ha voluto che a un nostro amico – Raphael Rossi – proponessero una tangente quando era vicepresidente dell’azienda di gestione dei rifiuti a Torino. La sua denuncia lo ha portato all’isolamento fino a perdere il suo incarico. Abbiamo fondato un movimento che lo supportasse nella sua battaglia per la legalità. Probabilmente siamo stati la prima esperienza in Italia di utilizzo dei social media per seguire un processo. Sette anni in cui tutti siamo diventati Signori Rossi per far capire che la società sana sapeva con chi schierarsi. Abbiamo fatto scuola. Si sono ripetute altre esperienze simili in tutta Italia accanto ad altri testimoni di giustizia, fino a costituire uno sportello per le denunce di casi di corruzione con il supporto volontario di avvocati.
Lei è coautore di un saggio dal titolo “C’è chi dice no” in cui si affronta il tema “Come i cittadini possono risanare lo Stato”. Qual è a tal proposito la vostra teoria?
I cittadini sono lo Stato. Noi abbiamo bisogno di coltivare individualmente i nostri talenti per trovare un’occupazione e tornare all’azione collettiva per creare una società che sappia premiare chi ha i meriti. I nuovi mezzi di comunicazione lo permettono. Serve diminuire il “senso cinico” e far crescere l’impegno civico. Non possiamo desiderare una società diversa se non concorriamo a realizzarla. Ai comportamenti individuali e quotidiani occorre unire la capacità di mettersi in rete e dialogare con le Istituzioni.
Molti elementi concorrono al concetto di felicità pubblica, qual è a suo avviso il più importante?
L’incontro con gli altri. La solitudine non porta alla felicità. Solo unendoci possiamo scoprirci più forti. Se ogni giorno potessimo incontrare un compagno di avventura in più, scopriremmo quanto è gioioso lottare per una società migliore.
Sono nata ad Avezzano (L’Aquila) sotto il segno dell’acquario, il 18 febbraio 1981, e dal 2009 vivo a Montesilvano (Pescara). Socievole, chiacchierona e curiosa dalla nascita, ho assecondato questa naturale inclinazione laureandomi a 24 anni in Scienze della Comunicazione a Perugia e scegliendo il giornalismo come ragione di vita prima ancora che come professione. Dopo diverse esperienze come giornalista di carta stampata e televisiva, dal 2012 mi occupo di cronaca per il quotidiano abruzzese il Centro, oltre a curare diversi progetti come freelance. Tra le mie più grandi passioni, oltre alla scrittura, ci sono i viaggi, la fotografia e il cinema, che nel 2011 mi hanno portato a realizzare, come coautrice, un documentario internazionale sulla figura della donna nell’area del Mediterraneo. Dall’estate 2015 ho il privilegio di dirigere il portale Felicità pubblica. Indipendente, idealista e sognatrice, credo nella famiglia, nell’amore, nell’amicizia e nella meritocrazia e spero in un futuro lavorativo migliore per i giovani giornalisti che, come me, preferiscono tenere i sogni in valigia piuttosto che chiuderli in un cassetto.
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