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“Per il suo contributo determinante nella costruzione di una democrazia pluralistica in Tunisia in seguito alla Rivoluzione dei Gelsomini”. Questa la motivazione con la quale pochi minuti fa il Comitato norvegese dei Nobel di Oslo ha assegnato il Premio Nobel per la Pace 2015 al Quartetto per il dialogo nazionale tunisino (National Dialogue Quartet), un insieme costituto da quattro organizzazioni chiave della società tunisina: l’Unione generale tunisina del lavoro, la Confederazione dell’industria del commercio e dell’artigianato, la Lega tunisina per i diritti dell’uomo e l’Ordine nazionale degli avvocati di Tunisia.
L’ambizioso riconoscimento, come hanno spiegato i componenti del comitato svedese, è stato conferito al quartetto nella sua interezza, e non alle singole organizzazioni che ne fanno parte, per aver collaborato come mediatori per la democratizzazione del paese, dopo la cosiddetta primavera araba iniziata proprio in Tunisia tra il 2010 e il 2011 e che ha visto il Paese iniziare un difficile percorso per raggiungere la democrazia dopo anni di regime autoritario del presidente Bem Ali.
Il premio, annunciato dalla presidente del Comitato norvegese per il Nobel, Kaci Kullman Five, che verrà consegnato a Oslo il 10 dicembre, arriva in un momento molto delicato del Paese, dove dissidi interni e attentati terroristici vedono la Tunisia ancora lontana dalla pace.
Nulla di fatto, dunque, per i papabili emersi nei giorni scorsi: la cancelliera tedesca Angela Merkel per la sua politica di accoglienza verso i migranti e i rifugiati siriani in Europa; il presidente colombiano Juan Manuel Santos e il leader delle FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia) Timoleón Jiménez, per il loro ruolo nel processo di pace in Colombia; il quotidiano russo Novaya Gazeta e il suo editore Dmitry Muratov per aver continuato a esercitare il diritto di cronaca nonostante le intimidazioni; l’associazione Articolo 9, impegnata per la difesa dell’articolo 9 della Costituzione giapponese finalizzato al mantenimento della pace; i tre congolesi, Jeanne Nacatche Banyere, Jeannette Kahindo Bindu e Denis Mukwege, per l’impegno contro la violenza sessuale in Africa. Tra i possibili vincitori, nei giorni scorsi, sono stati fatti anche i nomi di Papa Francesco, dell’associazione Unchr, del religioso eritreo Don Mussie Zerai e del sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini.
Foto di copertina: Xinhua/Pan Chaoyue
Sono nata ad Avezzano (L’Aquila) sotto il segno dell’acquario, il 18 febbraio 1981, e dal 2009 vivo a Montesilvano (Pescara). Socievole, chiacchierona e curiosa dalla nascita, ho assecondato questa naturale inclinazione laureandomi a 24 anni in Scienze della Comunicazione a Perugia e scegliendo il giornalismo come ragione di vita prima ancora che come professione. Dopo diverse esperienze come giornalista di carta stampata e televisiva, dal 2012 mi occupo di cronaca per il quotidiano abruzzese il Centro, oltre a curare diversi progetti come freelance. Tra le mie più grandi passioni, oltre alla scrittura, ci sono i viaggi, la fotografia e il cinema, che nel 2011 mi hanno portato a realizzare, come coautrice, un documentario internazionale sulla figura della donna nell’area del Mediterraneo. Dall’estate 2015 ho il privilegio di dirigere il portale Felicità pubblica. Indipendente, idealista e sognatrice, credo nella famiglia, nell’amore, nell’amicizia e nella meritocrazia e spero in un futuro lavorativo migliore per i giovani giornalisti che, come me, preferiscono tenere i sogni in valigia piuttosto che chiuderli in un cassetto.
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