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Nei precedenti approfondimenti abbiamo avuto modo di verificare come le forme in cui si esplica il partenariato pubblico-privato siano molteplici. Per un verso si è consolidata la distinzione tra PPP contrattuali (quali ad esempio le concessioni di lavori o servizi) e PPP istituzionalizzati (quali le società miste). Per altro verso si sono affermate forme di collaborazione flessibili che mettono in atto modelli contrattuali, convenzionali e organizzativi atipici. Tuttavia in ogni partenariato è presente una prestazione di interesse pubblico a cui corrisponde un finanziamento in tutto o in parte a carico di soggetti privati.
In questo contesto le esperienze della cooperazione e dell’impresa sociale assumono una rilevanza assolutamente particolare. Tanto più oggi che alle tradizionali cooperative di produzione e lavoro e di utenza si affiancano “nuove” forme di cooperative – in realtà assai antiche nelle proprie origini – come quelle di comunità. La cooperazione si conferma, quindi, uno dei principali soggetto-cerniera nel rapporto tra l’interesse pubblico e l’organizzazione privata nella realizzazione e gestione di opere e servizi.
Di conseguenza vale la pena soffermare l’attenzione sull’andamento e sui più recenti cambiamenti del movimento cooperativo italiano. L’occasione ci è fornita dalla presentazione del III Rapporto Euricse dal titolo “Economia cooperativa. Rilevanza, evoluzione e nuove frontiere della cooperazione italiana”. L’Euricse – Istituto Europeo di Ricerca sull’Impresa Cooperativa e Sociale – con sede a Trento da anni promuove la conoscenza e l’innovazione nell’ambito delle imprese cooperative e sociali e delle altre organizzazioni nonprofit di carattere produttivo. Il 30 settembre a Roma, presso il Palazzo della Cooperazione, hanno discusso i principali dati della ricerca, illustrati da Gianluca Salvatori e Carlo Borzaga, rispettivamente amministratore delegato e presidente di Euricse, i vertici dell’Alleanza Cooperative Italiane, Rosario Altieri (presidente), Maurizio Gardini e Mauro Lusetti (copresidenti).
Vi proponiamo per esteso la prima parte dell’Introduzione al Rapporto e alleghiamo il testo integrale della ricerca.
Sono sempre più numerosi gli osservatori che ritengono che la crisi in corso stia determinando mutamenti profondi dell’economia e, in particolare, dell’economia italiana, con conseguenze sia sull’organizzazione della produzione che di carattere sociale difficili da prevedere. Uno tra i mutamenti segnalati con sempre maggior frequenza è costituito dalla tendenza all’affermarsi di forme organizzative e imprenditoriali basate su principi diversi da quelli tipici sia dello scambio di mercato che dell’esercizio di forme di autorità, pubblica o privata. Si tratta, in particolare, di forme fondate su relazioni di tipo cooperativo, dove gruppi di persone si accordano volontariamente per gestire attività, anche economicamente rilevanti, contribuendo alla loro realizzazione con proprie risorse, secondo logiche di reciprocità e di condivisione dei costi e dei risultati, privilegiando la soddisfazione dei bisogni alla realizzazione di un guadagno monetario. Di queste iniziative – variamente denominate come sharing economy, co-working, co-produzione, imprenditorialità sociale, produzione condivisa, ecc., presenti in diversi settori, dall’agricoltura fino agli incubatori di nuova imprenditorialità – sono stati già documentati numerosi esempi, ne è stata dimostrata la sostenibilità e viene sempre più spesso auspicata la diffusione.
Questa evoluzione non è solo conseguenza della crisi e delle difficoltà a individuare politiche capaci di superarla, ma ha origini più lontane, individuabili nei limiti, evidenti già da prima del nuovo secolo, dell’approccio fondamentalista al mercato (Stiglitz, 2009). Un approccio che ha dominato, e continua a dominare, il pensiero economico a partire dagli anni ’90 del secolo scorso e che è da molti considerato la causa ultima della crisi. A ciò, negli anni, si è aggiunta la consapevolezza che è molto difficile contare, soprattutto in Italia, su un maggior intervento pubblico sia per la soluzione dei problemi creati dalla crisi, che per affrontare le conseguenze della bassa crescita che caratterizzerà con tutta probabilità le economie europee anche nei prossimi anni.
Queste riflessioni di carattere generale si intrecciano inevitabilmente con quelle, più operative, sulle modalità con cui le nuove forme di coordinamento sono, o possono essere, organizzate: da quelle più tradizionali, come le cooperative, a quelle nuove, come le imprese sociali, le imprese di comunità e, nel contesto italiano, le cooperative sociali. Si assiste così a un’attenzione crescente – sia degli studiosi che delle istituzioni – per queste forme di imprese. Esse sono sempre più spesso annoverate tra gli strumenti su cui contare per rilanciare l’economia e risolvere problemi sociali. Tanto più dopo che negli anni della crisi sono stati da più parti rilevati il diverso comportamento e le diverse performance delle cooperative e, più in generale, delle forme organizzative senza fini di lucro rispetto alle imprese for-profit.
Diverse ricerche (Birchall e Hammond Ketilson, 2009; Zamagni, 2012; Zanotti, 2013) hanno infatti evidenziato come le cooperative abbiano assunto a partire dal 2008 un comportamento decisamente anticiclico (Bentivogli e Viviano, 2012; CECOP-CICOPA Europe, 2010), in particolare nei paesi con una lunga tradizione cooperativa e dove tali organizzazioni sono più radicate (Roelants et al., 2012). Le analisi che hanno messo a confronto cooperative e imprese di capitali (Fontanari e Borzaga, 2013a), oltre a confermare il comportamento anticiclico delle prime, hanno dimostrato come esso sia dovuto in larga parte alla diversità negli obiettivi e nelle forme proprietarie. Poiché l’obiettivo delle cooperative è di garantire servizi o lavoro ai soci, esse tendono a mantenere il più elevati possibile i livelli di attività anche a discapito dei margini di profitto (Moore, 2000). Questi comportamenti anticiclici sono inoltre resi possibili dall’adozione di particolari strategie tipicamente cooperative, quali l’utilizzo delle risorse accantonate a patrimonio, oppure il ricorso a fusioni concordate, alleanze o collaborazioni verticali e orizzontali (Zevi et al., 2011; Accornero e Marini, 2011).
Non è, tuttavia, la prima volta che alle cooperative viene riconosciuta questa funzione anticiclica. Anche in precedenti situazioni di crisi e di elevata disoccupazione la cooperazione è stata individuata come una possibile soluzione. Salvo poi dimenticarsene appena la situazione ha presentato segni di miglioramento. A dimostrazione che la convinzione che la forma cooperativa rimanga comunque una soluzione meno efficiente di quella dell’impresa capitalistica è ancora largamente radicata. Una convinzione ampiamente basata su modelli teorici che semplificano eccessivamente la realtà e rafforzata dall’idea, tutta da dimostrare ma assai diffusa, dell’intrinseca superiorità delle organizzazioni mosse dal solo obiettivo del profitto. E che è spesso causa di valutazioni parziali, quando non approssimative, e di interventi di politica economica poco efficaci, se non controproducenti.
Per uscire da queste ambiguità, andare oltre le previsioni desunte da modelli teorici inadeguati e arrivare a formulare dei giudizi sull’effettiva importanza della cooperazione, oggi e in prospettiva, occorre innanzitutto sviluppare ulteriormente la conoscenza del fenomeno, quantificandone la rilevanza economica, sociale e occupazionale e la sua evoluzione nel tempo, in particolare negli anni della crisi. Una quantificazione il più possibile certa e non soggetta a interpretazioni. È necessario cioè misurare nel modo più preciso possibile la diffusione e la rilevanza delle cooperative vecchie e nuove e delle altre forme di imprenditorialità sociale, e verificare se effettivamente si stanno comportando diversamente dalle altre imprese e sono, quindi, in grado di dare un contributo aggiuntivo al benessere dei cittadini. Ed è necessario in particolare farlo per l’Italia dove le cooperative godono anche di un riconoscimento costituzionale.
Proprio la ricostruzione della rilevanza della cooperazione e l’analisi delle dinamiche che la caratterizzano rappresentano uno dei principali obiettivi dell’European Research Institute on Cooperative and Social Enterprises (Euricse), come dimostrano i due Rapporti sulla cooperazione in Italia finora pubblicati (Euricse, 2011 e 2013). Nel Terzo Rapporto, di cui si sintetizzano di seguito i principali risultati, vengono fornite ulteriori informazioni, ma soprattutto si propone una stima della rilevanza economica e occupazionale del sistema cooperativo nell’anno 2013 – l’ultimo per il quale si dispone di una base dati sufficientemente completa – e si analizza la dinamica sperimentata dalle cooperative italiane nel corso degli anni 2011-2013 e negli anni della crisi (2008-2013) sia in generale che con riferimento ad alcune componenti e ad alcuni aspetti – come quello del trattamento fiscale – spesso oggetto di dibattito. Vengono inoltre proposti alcuni approfondimenti settoriali e per singole forme cooperative, al fine di fornire un quadro il più completo possibile dello stato dell’economia cooperativa in Italia.
Le ricerche e gli studi presentati in questo Rapporto si basano sull’analisi di dati ricavati da fonti diverse, soprattutto di natura amministrativa. I Censimenti del 2011, in particolare il 9° Censimento dell’Industria e dei Servizi, realizzati dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT), il progressivo completamento da parte delle Camere di Commercio delle banche dati sui bilanci delle imprese italiane e i dati resi disponibili dall’INPS sulle posizioni lavorative permettono oggi di proporre una quantificazione abbastanza precisa del contributo complessivo della cooperazione all’economia italiana e della sua evoluzione negli anni recenti. Queste fonti consentono inoltre di analizzare e comparare le dinamiche e le performance delle imprese cooperative con quelle delle imprese di capitali, sia prima che nel corso della crisi. Esse permettono quindi di testare anche quanto sostenuto dalla letteratura sulle cooperative, soprattutto con riferimento ai comportamenti anticiclici.
In questa sintesi si riassumono i principali risultati delle analisi proposte nei vari capitoli del Rapporto. Si quantifica innanzitutto la rilevanza economica e occupazionale dell’insieme delle cooperative italiane (par. 1), se ne analizza quindi l’evoluzione nel corso della crisi (par. 2), per concludere con un approfondimento sullo stato e sull’evoluzione di alcune forme cooperative che in questi ultimi anni hanno attratto l’interesse di studiosi, dell’opinione pubblica e dei media: le cooperative di inserimento lavorativo, le cooperative di lavoratori che hanno assunto la gestione delle proprie imprese e le cooperative impegnate nella gestione di beni confiscati alla criminalità organizzata (par. 3).
Per maggiori approfondimenti di seguito riportiamo il testo integrale del III Rapporto Euricse.
Sono nato a Pescara il 18 settembre 1955 e vivo a Francavilla al Mare con mia moglie Francesca e i miei figli Camilla e Claudio. Ho una formazione umanistica, acquisita frequentando prima il Liceo Classico G.B. Vico di Chieti e poi l’Università di Padova, dove mi sono laureato in Filosofia con Umberto Curi. Il primo lavoro è stato nella cooperazione: un’esperienza che ha segnato il mio futuro. Lì ho imparato a tenere insieme idealità e imprenditorialità, impegno individuale e dimensione collettiva, profitto e responsabilità. Negli anni seguenti ho diretto un’agenzia di sviluppo locale e promozione imprenditoriale, sono stato dirigente in un ente locale, ho lavorato come consulente anche per importanti aziende globali. Oggi sono presidente di una start up cooperativa: evidentemente i grandi amori tornano di prepotenza, quando meno te lo aspetti. Nel lavoro mi piace condividere progetti, costruire percorsi inediti, fare squadra, veder crescere giovani professionalità. Amo leggere e ascoltare musica, camminare in montagna e, appena possibile, intraprendere un nuovo viaggio.
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