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È di pochi giorni fa la notizia tremenda di un ragazzo diciottenne – senza precedenti penali – che, imbracciato un fucile AR-15 semiautomatico e dopo essere entrato in una scuola elementare di Uvalde in Texas – USA -, si è barricato in una classe, ammazzando 19 bambini e due insegnanti. Anche il giovane killer è stato successivamente ucciso dalla polizia.
Del resto, se si prova a interpellare un cittadino americano riguardo la detenzione e uso di armi, con ogni probabilità difenderà strenuamente il Secondo emendamento introdotto con il Bill of Rights nel 1791, che recita: «A well regulated militia being necessary to the security of a free state, the right of the people to keep and bear arms shall not be infringed». («Una milizia ben organizzata è necessaria alla sicurezza di uno Stato libero e dunque il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non può essere violato».- trad. repubblica.it).
Pare impossibile che un emendamento voluto e inserito oltre due secoli fa, venga ancora considerato inviolabile nel ventunesimo secolo, eppure persino le varie campagne elettorali dei repubblicani statunitensi mostrano immagini di armi pesanti, sparatorie cruente contro oggetti simbolici, linguaggio violento, impegno contro il socialismo. Va da sé che, se contestualizzato al tempo del suo inserimento in Costituzione, l’emendamento aveva un suo perché, dal momento che non esisteva alcun esercito nazionale organizzato; inoltre il testo era ispirato a leggi britanniche ancora più antiche, quando protestanti e cattolici combattevano tra loro. Del resto, duecentocinquanta anni fa, in aree di frontiera, spesso si rendevano necessarie armi da fuoco per difendersi da banditi e indiani (da intendersi nativi americani).
Ma oggi mantiene ancora il suo spirito originale? Secondo i repubblicani USA sì, soprattutto per combattere il socialismo, sostengono loro. E per mantenere alta la tensione a sfavore dei neri americani e favorire invece le fabbriche di armi, sostengo io.
Per adeguare ancora meglio il Paese a leggi del passato, inoltre, sempre più Stati della Confederazione americana (prevalentemente collocati nel Sud), vietano alle donne il diritto all’aborto, il che fa davvero pensare di essere tornati indietro di almeno cinquanta anni.
Infatti è stata una famosa sentenza del 1973 – Roe vs. Wade – che ha sancito il diritto all’interruzione di gravidanza, ma non è mai stata trasformata in legge. Adesso, però, la Corte Suprema sembra fortemente intenzionata a cancellare quel principio, anche sulla spinta di numerosi Stati americani che stanno imponendo alle proprie cittadine durissime restrizioni per poter accedere all’aborto, come per esempio Alabama, Georgia, Kentucky, Mississippi, Lousiana, Oklahoma e altri. La battaglia delle donne americane a favore dell’Ivg è appena cominciata con diverse manifestazioni pubbliche e ne vedremo i risultati probabilmente nelle prossime elezioni di mid-term a novembre di quest’anno, mentre lo stesso presidente Biden ha dichiarato che si adopererà per far approvare una legge che ricalchi la sentenza del 1973 prima delle elezioni stesse.
Non resta che auspicare che la lotta delle cittadine americane trovi consensi sempre più vasti e che i delegati della Corte la smettano di decidere sulla pelle delle donne e delle minoranze disagiate.
Sono nata a Milano il 3 giugno 1957 da genitori piemontesi. Mi sento però a tutti gli effetti milanese perché amo profondamente la mia città. Ho frequentato il Liceo Classico Omero, percorso di studi che rifarei senza alcuna remora. Amo tutta la letteratura e tutti i libri che siano degni di chiamarsi tali e possiedo una notevole libreria in casa, tant’è che ho fatto rinforzare i pavimenti.
Ho svolto nel corso degli anni praticamente tutti i lavori inerenti ad aziende di commercio alimentare, dall’import alla contabilità, alla conoscenza dei prodotti.
Sono poi passata a interessarmi di economia e finanza ma le mie passioni rimangono quelle umanistiche, in particolare la Storia. Mi piace molto scrivere, attività che ho sempre svolto con molta passione.
Adoro tutta la musica, da quella classica a quella contemporanea, da quella popolare a quella cantautoriale.
Mi diverto a cucinare i piatti della tradizione e, ahimè, oltre a cucinarli, li mangio.
Mi piacciono le sfide e amo confrontarmi con gli altri, per questo sono contenta di collaborare con Felicità Pubblica che me ne dà l’opportunità…
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