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È indiscutibile, stiamo assistendo a una guerra sporca, come tutte le guerre del resto. La Federazione russa ha invaso un Paese pacifico, con un governo eletto democraticamente. Sono stati violati i confini di uno Stato indipendente in dispregio del diritto internazionale. L’offensiva viene condotta con ferocia, colpendo sistematicamente obiettivi civili, infliggendo sofferenze disumane alla popolazione inerme. Con ogni probabilità decine di donne sono state violentate e uccise. Una guerra talmente inaspettata e assurda che, anche a distanza di settimane, facciamo fatica a comprenderne le ragioni.
È per questo che il moto di simpatia e solidarietà nei confronti dell’Ucraina è così vasto. A ciò si aggiunga che quel popolo sta dimostrando, in ogni parte del suo territorio, una stupefacente capacità di resistenza, mobilitando ogni risorsa, al limite dell’eroismo. Nella loro condizione è del tutto “ragionevole” chiedere armi per continuare a combattere. È persino comprensibile, anche se non condivisibile, invocare la “no fly zone”. Cos’altro potrebbero fare sotto il fuoco russo?
Quindi, non c’è spazio per nessuna posizione ambigua o equidistante, siamo dalla parte degli invasi, dei democratici, contro le mire imperiali dello zar di tutte le Russie.
Tuttavia è ancora possibile esercitare qualche forma di pensiero critico oppure dobbiamo limitarci a lanciare invettive antirusse? Dobbiamo pretendere l’interruzione dei corsi universitari di letteratura o la messa al bando di artisti, musicisti, scienziati e atleti russi? Siamo certi di rendere così un buon servizio alla causa ucraina? Perché alcuni commentatori e politici nostrani avvertono il bisogno di alzare i toni accusando chiunque osi proporre una riflessione di essere filoputiniano? Perché chiunque ragioni sui temi del negoziato è additato al pubblico ludibrio? Perché ogni “pacifista” è immediatamente considerato uno sciocco o peggio un traditore dei valori dell’Occidente?
Noi abbiamo la fortuna di non essere al fronte e, quindi, abbiamo il dovere di costruire la pace. E come farlo? Ci sono solo due strade per far cessare la guerra: l’annientamento dell’avversario o la diplomazia e il negoziato. Qualcuno ritiene possibile cancellare la Russia o anche solo abbattere il regime di Putin con la forza? Pesantissime sanzioni sono già state messe in campo, altre forse ne verranno. L’Ucraina è stata e continua a essere armata dai Paesi occidentali. Cos’altro si può fare? Restano solo i negoziati, pazienti, determinati, convinti. Ma per negoziare è necessario comprendere gli interessi in campo, oserei dire le “ragioni” reciproche. Questa opzione vuol dire essere neutrali ed equidistanti? Non lo credo affatto. Piuttosto sono convinto che qualche oltranzismo filoucraino di casa nostra sia funzionale a scaramucce politiche interne, risulti del tutto strumentale a finalità diverse. Questo è cinismo, null’altro. Anche nel campo del centrosinistra hanno preso forza posizioni “polemiche”, francamente incomprensibili. Per quale ragione? Per prendere le distanze da Salvini e Berlusconi amici di Putin? Per ribadire oltre ogni necessità la fedeltà atlantica? In questo modo si fa un pessimo servizio all’Ucraina che non ha nessun bisogno di “tifosi” ma piuttosto di alleati affidabili, solidi e capaci di favorire processi negoziali che facilitino la fine del conflitto e la costruzione di una pace credibile e duratura.
Sono nato a Pescara il 18 settembre 1955 e vivo a Francavilla al Mare con mia moglie Francesca e i miei figli Camilla e Claudio. Ho una formazione umanistica, acquisita frequentando prima il Liceo Classico G.B. Vico di Chieti e poi l’Università di Padova, dove mi sono laureato in Filosofia con Umberto Curi. Il primo lavoro è stato nella cooperazione: un’esperienza che ha segnato il mio futuro. Lì ho imparato a tenere insieme idealità e imprenditorialità, impegno individuale e dimensione collettiva, profitto e responsabilità. Negli anni seguenti ho diretto un’agenzia di sviluppo locale e promozione imprenditoriale, sono stato dirigente in un ente locale, ho lavorato come consulente anche per importanti aziende globali. Oggi sono presidente di una start up cooperativa: evidentemente i grandi amori tornano di prepotenza, quando meno te lo aspetti. Nel lavoro mi piace condividere progetti, costruire percorsi inediti, fare squadra, veder crescere giovani professionalità. Amo leggere e ascoltare musica, camminare in montagna e, appena possibile, intraprendere un nuovo viaggio.
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