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Dopo anni di attesa è in arrivo la Global Minimum Tax, uno dei principali successi del recente G20 di Roma, vanamente inseguita per anni e, oggi, grazie a Joe Biden e Mario Draghi, diventata realtà. Ma, precisamente, di cosa si tratta?
Nel recente passato abbiamo assistito a un incessante trasferimento delle sedi legali e fiscali di imprese multinazionali in Paesi che praticano tassazioni di favore. Forse il caso più noto è quello dell’Irlanda, diventata un vero polo di attrazione. Non esistono, quindi, solo i cosiddetti paradisi fiscali, come le Isole Cayman e lo Stato “a stelle e strisce” Delaware, ma anche Paesi europei particolarmente “generosi”. Hanno beneficiato di questo iniquo regime fiscale principalmente i colossi del web come Google, Facebook, Amazon e Apple accumulando utili stratosferici da dividere con azionisti e top manager e, al contempo, sottraendo enormi risorse ai sistemi fiscali dei Paesi d’origine e a quelli dei mercati di sbocco.
La Global Minimum Tax, attraverso un accordo internazionale, prova a mettere un limite a questa pratica scorretta. All’accordo internazionale hanno aderito 136 membri dell’Ocse, inclusi tutti i Paesi G20, pari al 94% del Pil mondiale. Anche Estonia, Ungheria e Irlanda hanno dato il proprio consenso. Ora si apre la strada per la firma di una convenzione multilaterale nel 2022, con l’obiettivo di conseguire un’attuazione effettiva nel 2023.
Ma come funziona la Global Minimum Tax? Il principio di riferimento è quello dei ricavi ridistribuiti. Una parte dei profitti delle multinazionali deve essere allocato nei sistemi fiscali dei Paesi in cui tali imprese raggiungono ricavi rilevanti. In altri termini: le multinazionali debbono pagare le tasse nel Paese in cui sono localizzati i beni e le attività commerciali che generano reddito, indipendentemente dalla residenza fiscale. E in ogni caso va loro applicato un livello minimo di tassazione pari al 15%.
Le aspettative sono rilevanti: circa 150 miliardi di dollari (127 miliardi di euro) di entrate fiscali aggiuntive a livello globale. L’Italia spera in circa 30,3 miliardi di nuove entrate. Gli Stati Uniti, portando da zero a 15% la tassazione delle corporation, dovrebbero avere almeno 60 miliardi in più di entrate fiscali. Numeri da capogiro. Dovrebbero anche allentarsi le tensioni commerciali internazionali e molte multinazionali saranno incoraggiate a rimpatriare i capitali nei Paesi di sede, dando una spinta alle loro economie e a quelle dei mercati di sbocco.
Speriamo solo che le intese diplomatiche si trasformino presto in regimi fiscali davvero vincolanti per tutti.
Sono nato a Pescara il 18 settembre 1955 e vivo a Francavilla al Mare con mia moglie Francesca e i miei figli Camilla e Claudio. Ho una formazione umanistica, acquisita frequentando prima il Liceo Classico G.B. Vico di Chieti e poi l’Università di Padova, dove mi sono laureato in Filosofia con Umberto Curi. Il primo lavoro è stato nella cooperazione: un’esperienza che ha segnato il mio futuro. Lì ho imparato a tenere insieme idealità e imprenditorialità, impegno individuale e dimensione collettiva, profitto e responsabilità. Negli anni seguenti ho diretto un’agenzia di sviluppo locale e promozione imprenditoriale, sono stato dirigente in un ente locale, ho lavorato come consulente anche per importanti aziende globali. Oggi sono presidente di una start up cooperativa: evidentemente i grandi amori tornano di prepotenza, quando meno te lo aspetti. Nel lavoro mi piace condividere progetti, costruire percorsi inediti, fare squadra, veder crescere giovani professionalità. Amo leggere e ascoltare musica, camminare in montagna e, appena possibile, intraprendere un nuovo viaggio.
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