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Le proposte sull’immigrazione della Comunità di Sant’Egidio

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Qualche volta converrebbe davvero ascoltare chi lavora sul campo e ha maturato tanta esperienza. È il caso della Comunità di Sant’Egidio a proposito dell’immigrazione. Pochi giorni fa Marco Impagliazzo, Presidente della Comunità, in una conferenza stampa, ha posto all’attenzione del governo quattro ipotesi di lavoro per affrontare una questione che, finora, la politica italiana non ha il coraggio di affrontare nonostante le “lamentazioni” perché la società italiana invecchia rapidamente, le casse dell’INPS tendono a svuotarsi e tanta domanda di lavoro rimane inevasa. Ma per mettere mano a questi nodi è necessario un “coraggio” civile e politico che al momento latita.

Vediamo nel dettaglio le proposte di Sant’Egidio. La prima riguarda le vie d’accesso al nostro Paese, fino ad oggi fatte di barconi, illegalità e tragedie del mare (e della montagna). La Comunità torna a proporre con forza l’opzione dei corridoi umanitari. Si tratta di “concedere a persone in condizioni di vulnerabilità (ad esempio, oltre a vittime di persecuzioni, torture e violenze, famiglie con bambini, anziani, malati, persone con disabilità) un ingresso legale sul territorio italiano con visto umanitario e la possibilità di presentare successivamente domanda di asilo”, facendosi carico di organizzare trasferimenti sicuri. La Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, la Tavola Valdese e la Cei-Caritas da anni hanno avviato con successo questa sperimentazione. Purtroppo ad oggi il Governo italiano e l’Europa si sono guardati bene dall’adottare questo modello d’intervento che, naturalmente, costerebbe infinitamente meno di quanto si spende per repressione, soccorsi, “accoglienza”.

La seconda proposta attiene alla reintroduzione delle sponsorship private.  ONG accreditate, imprese, famiglie di cittadini europei o di stranieri residenti di lungo periodo potrebbero indicare nominativamente lavoratori che provengano da aree di crisi, fornendo idonee garanzie economiche. In altri termini ai richiedenti asilo e rifugiati beneficiari, sostenuti da sponsor privati, potrebbe essere concesso un visto di ingresso nazionale.

La terza proposta chiede di ripristinare urgentemente i flussi d’ingresso regolari volti a favorire l’occupazione in settori in cui è evidente carenza di manodopera nel mercato italiano: infermieri, badanti, lavoratori agricoli, addetti nella filiera del turismo.

Infine la Comunità invita a superare il Regolamento di Dublino fornendo la possibilità a chi si sposta per il diritto di visita di accettare un impiego in un Paese diverso da quello di arrivo oltre all’opportunità per gli sponsor privati di richiedere l’autorizzazione all’ingresso per ricerca di lavoro per un anno.

Perché queste semplici proposte non riescono a far breccia nel dibattito politico? Perché nessuno sembra accorgersi dei “costi dell’irregolarità” in termini di mancato gettito fiscale e previdenziale? Perché a nessuno sembra interessare la domanda di lavoro che le imprese non riescono a soddisfare? Non è facile fornire risposte sensate a queste domande. Eppure, ricorda Marco Impagliazzo, “la presenza degli immigrati in Italia non è da considerare un problema ma, se gestita in modo opportuno, una delle risorse che possono aiutare in modo decisivo il nostro Paese a ripartire dopo il duro colpo della pandemia e che risulta determinante per una più incisiva programmazione sociale, demografica ed economica”.

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