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L’odio sui social colpisce ancora

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Si chiama Barometro dell’odio ed è il rapporto con cui ogni anno Amnesty International monitora il livello di discriminazione e di hate speech sulle piattaforme social. Giunto alla sua quarta edizione e pubblicato nei giorni scorsi, il dossier 2021 ha preso ad esame in particolare le conseguenze dell’emergenza sanitaria sui diritti economici, sociali e culturali e come esse abbiano influito sull’odio presente nel dibattito on line.

Il Barometro dell’odio è stilato monitorando due social media, Facebook e Twitter, per un periodo di 16 settimane, dal 15 giugno al 30 settembre 2020, seguendo due binari: quello relativo ai post e tweet pubblicati su pagine e profili di esponenti del mondo della politica, dei sindacati, dell’informazione, di enti legati al welfare; l’altro riguardante i relativi commenti degli utenti.  Oltre 22milioni di contenuti scaricati e più di 36mila valutati: un lavoro imponente, quello svolto dalla Task Force, che ha evidenziato purtroppo delle tendenze poco rassicuranti, ovvero l’emersione di nuove vulnerabilità e discriminazioni.

Inutile dirlo: la pandemia, che secondo qualcuno avrebbe dovuto rendere tutti migliori, aumentando il livello di empatia nei confronti della sofferenza degli altri, ha reso il popolo del web ancora più intollerante e razzista. Ancora una volta migranti e rifugiati sono il bersaglio preferito dagli odiatori, a fianco di operatori sanitari, runner e di coloro che godono di presunti ed esclusivi benefici.

Dall’analisi è emerso che: i commenti sono nel 10,5% dei casi offensivi e/o discriminatori e l’1,2% di questi è hate speech (+0,5% rispetto alle scorse edizioni). Si offende di meno, si incita di più all’odio; l’odio online è più radicalizzato quando incrocia i temi legati ai diritti economici, sociali e culturali; i dati aumentano quando questo tipo di contenuti incrocia anche temi come “immigrazione” e “rom”. Le principali sfere dell’odio sono: nei post/tweet islamofobia (46%), sessismo (31,3%), antiziganismo (23,1%), antisemitismo (20,1%), razzismo (7,9%); nei commenti islamofobia (21%), razzismo (19,6%), antiziganismo (19%), antisemitismo (16,6%), omobitransfobia (14,5%).

Alla luce del nuovo dossier, Amnesty ha lanciato un nuovo appello alle istituzioni per rafforzare le campagne di informazione sui diritti umani, intensificare l’alfabetizzazione digitale, promuovere un uso responsabile della rete, condannare in modo tempestivo i discorsi di odio, produrre note esplicative ai testi legislativi per agevolarne la comprensione.

Ma è davvero sufficiente? Siamo davvero in grado di comprendere la pericolosità del linguaggio dell’odio sui social network? E soprattutto, gli esponenti delle istituzioni a cui l’appello è rivolto, non sono gli stessi protagonisti dei post analizzati dalla task force?

Un caso eclatante, anzi direi estremo, è quello accaduto proprio in questi giorni e che ha visto come protagonista il fondatore del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo. In un video dai toni accessi, violenti e decisamente sopra le righe, come nel suo stile di sempre del resto, l’ex leader pentastellato ha gridato la sua arringa difensiva nei confronti del figlio Ciro, accusato di aver praticato violenza sessuale di gruppo, con alcuni suoi amici, nei confronti di una ragazza.

Più grave dei toni del videomessaggio sono stati, senza ombra di dubbio, i contenuti stessi del suo sproloquio imbarazzante e sessista in cui, ancora una volta, la vittima è passata per bugiarda solo per aver denunciato una settimana dopo o perché “colpevole” di aver praticato il surf dopo il presunto stupro di gruppo.

“Chi semina odio, raccoglie tempesta”, recita un noto proverbio. Lungi da me – persona estremamente garantista – dare del colpevole a un ragazzo prima di qualsiasi condanna definitiva. Quello che posso condannare, invece, è l’atteggiamento di un padre che, seppure comprensibilmente scosso dalla vicenda che da due anni coinvolge il figlio, dovrebbe sapere sempre quando è il momento di tacere, almeno pubblicamente, per rispetto delle vittime.

Un messaggio grave, quello lanciato da Grillo, che ha rimbalzato sul web e che è stato accompagnato in molti casi da commenti ancora più atroci, che fossero a sostegno di Grillo o anche a lui contrari. Non è con altra violenza verbale che bisogna rispondere a questi episodi. Non siamo in una giungla dove l’animale che mostra i denti più affilati o il fisico più possente, mette in fuga o uccide i più deboli.

Se abbiamo le nostre convinzioni è giusto sostenerle, ma con il dibattitto, il confronto, l’educazione e non con il linguaggio dell’odio. Né nel mondo reale, né in quello virtuale.

Il direttore

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