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Da qualche giorno ho avuto la prima dose di vaccino. Il direttore di Felicità Pubblica mi ha chiesto di condividere la mia esperienza e le mie riflessioni. Lo faccio volentieri perché quest’argomento rischia di rimanere a metà strada tra la dimensione strettamente privata e la polemica da social. Invece è una questione che accomuna tanti e incide sulla vita di ciascuno.
Sono un utente fragile per una cardiopatia manifestatasi nel 2018. Confesso che ho atteso con una certa trepidazione il mio turno. In Abruzzo abbiamo dovuto partecipare a una manifestazione di interesse aperta già nel mese di gennaio. Ho aderito subito, nei giorni in cui si temeva l’ondata no-vax. Mi è sembrato così di tutelare me stesso e, al contempo, dare un messaggio di fiducia nella scienza e nelle autorità sanitarie. Ma la manifestazione di interesse non ha offerto alcuna informazione sulla data di somministrazione. Nel tempo ho visto una parte degli ultra 80enni fare la prima dose, qualcuno anche la seconda, mentre i “fragili” rimanevano in attesa di notizie. Nessun panico, per fortuna, ho una vita piuttosto tranquilla, come libero professionista in larga misura lavoro da remoto e i miei contatti con l’esterno sono abbastanza limitati e molto affidati alla mia attenzione. Mia moglie lavora nella Pubblica Amministrazione e alterna giorni di “smart working” a giorni in presenza. Diversi suoi colleghi sono stati contagiati ma non ho mai avuto un’angosciante percezione di rischio. Certo, ho due giovani figli spesso a Roma per studio e lavoro. Per quanto accorti e prudenti hanno bisogno di vita sociale e qualche rischio l’hanno corso. Confesso che a volte ho temuto che potessero contagiarsi e contagiarmi. Così, con il passare dei giorni, in assenza di indicazioni sulla data del vaccino, una sottile ansia ha preso anche me, nonostante ostentassi tranquillità.
Intanto seguivo le notizie sul piano vaccinale. Prima solo due vaccini accettati dall’EMA e dall’AIFA, il mitico Pfizer (conservato a 80 gradi sottozero) rubava la scena al più sobrio Moderna (solo -20° e poche dosi disponibili). Poi il ciclone AstraZeneca. Tante le dosi promesse, poche quelle consegnate, da somministrare rigorosamente agli utenti sotto i 55 anni. E allora via alla vaccinazione di insegnati e forze dell’ordine, a cui silenziosamente, zona per zona, si sono aggregate corporazioni certamente meno titolate. Improvvisamente il contrordine, rischio trombosi per i più giovani e somministrazioni solo agli ultra 60enni. Ma non basta, hanno circolato voci (e continuano a circolare) che AstraZeneca è il vaccino che provoca più effetti collaterali. Si susseguono i racconti di persone colpite da febbre, vomito, giramenti di testa e ogni altra “maledizione” e, puntuali, arrivano i rifiuti alla somministrazione di questo vaccino. Alla primitiva domanda (quando arriverà il mio turno?) se ne aggiunge una seconda: quale vaccino mi proporranno? Personalmente non mi sono mai posto questo interrogativo. Trovo che pretendere di “scegliere” il vaccino sia irragionevole e profondamente irrispettoso, un vero e proprio lusso da Occidente decadente e opulento. Da mesi siamo costretti a bollettini da 500 morti al giorno e qualcuno cincischia su quale vaccino prendere! Provate a chiedere a qualsiasi africano se intende rifiutare AstraZeneca. Posso comprendere il timore individuale, non posso accettare che la questione venga presa sul serio e diventare preoccupazione collettiva.
Alle 17,30 di un pomeriggio vengo raggiunto sul cellulare dalla chiamata di un numero sconosciuto. Ero impegnato in una delle quotidiane videochiamate, ma ho risposto lo stesso. Una signora dalla voce tranquilla e rassicurante mi ha informato che il giorno successivo, per la precisione alle 9,07, mi sarei dovuto presentare al centro vaccinale della mia città. Avevo aspettato tanto ma la chiamata, in fondo, è giunta inattesa. Ancor più sorprendente, piacevolmente sorprendente, l’immediatezza della convocazione, a distanza di poco più di 12 ore.
La mattina dopo ero al posto convenuto, un capannone da poco adattato a centro vaccinale. Come al solito sono arrivato puntuale ma senza alcun anticipo. Avrò aspettato 20 minuti prima di essere accolto all’accettazione. Il luogo semplice e accogliente, il personale delizioso. Ciascuno ha svolto ordinatamente la propria funzione, con efficienza, professionalità, gentilezza, dai volontari che si sono presi cura di ciascuno di noi, ai collaboratori amministrativi, agli infermieri e ai medici. Tutti hanno avuto una spiegazione e un sorriso. In pochi minuti la vaccinazione fatta e l’appuntamento per la seconda dose fissato.
Confesso, ho tirato un sospiro di sollievo. So bene che l’immunizzazione è un processo lungo e complesso e che debbo continuare a seguire le precauzioni di rito. Ma non sarei sincero se non riconoscessi di essere contento sia per aver ricevuto la prima dose sia per aver avviato un percorso con tappe precise. Soprattutto ho provato sulla mia pelle che la sanità pubblica c’è, che le promesse sono onorate, che l’attesa ha avuto un senso. Vi assicuro, non è poco. È anche un vaccino contro la sfiducia.
Sono nato a Pescara il 18 settembre 1955 e vivo a Francavilla al Mare con mia moglie Francesca e i miei figli Camilla e Claudio. Ho una formazione umanistica, acquisita frequentando prima il Liceo Classico G.B. Vico di Chieti e poi l’Università di Padova, dove mi sono laureato in Filosofia con Umberto Curi. Il primo lavoro è stato nella cooperazione: un’esperienza che ha segnato il mio futuro. Lì ho imparato a tenere insieme idealità e imprenditorialità, impegno individuale e dimensione collettiva, profitto e responsabilità. Negli anni seguenti ho diretto un’agenzia di sviluppo locale e promozione imprenditoriale, sono stato dirigente in un ente locale, ho lavorato come consulente anche per importanti aziende globali. Oggi sono presidente di una start up cooperativa: evidentemente i grandi amori tornano di prepotenza, quando meno te lo aspetti. Nel lavoro mi piace condividere progetti, costruire percorsi inediti, fare squadra, veder crescere giovani professionalità. Amo leggere e ascoltare musica, camminare in montagna e, appena possibile, intraprendere un nuovo viaggio.
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