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Lettrici di Felicità Pubblica, siete mai state vittime di catcalling? Quasi sicuramente sì, anche se probabilmente non ne siete consapevoli. Questo, infatti, è un termine che sta prendendo sempre più piede, seppure esista da decenni.
Ma che cosa si intende di preciso quando si parla di catcalling?
Per capirlo meglio utilizziamo la definizione che ne fornisce l’Accademia della Crusca:
La parola catcalling nomina una serie di atti (complimenti non richiesti, commenti volgari indirizzati al corpo della vittima o al suo atteggiamento, fischi e strombazzate dall’auto, domande invadenti, offese e perfino insulti veri e propri) che, in quanto ritenuti espressione di una mentalità sessista e svalutante, costituiscono un tipo specifico di molestia sessuale e di molestia di strada.
Spesso sono le ragazze più belle ad esserne vittime, ma l’apprezzamento o il fischio urlato per strada non lusinga affatto. Esso, seppure fatto con le migliori intenzioni, non contiene nulla di galante, ma rappresenta un atto volgare e imbarazzante, un comportamento da cafone, da villano di cui ogni donna farebbe volentieri a meno.
Senza dubbio questo tipo di atteggiamento negli ultimi anni è sempre meno diffuso anche perché sempre più criticato e malvisto dalle donne. Basti pensare a come cantava Fiorella Mannoia qualche decennio fa, per la precisione nel 1987: “E dalle macchine per noi, i complimenti dei playboy…”. Sono certa che la stessa cantautrice, da sempre sensibile alle battaglie per i diritti delle donne, oggi avrebbe grandi difficoltà a presentarsi al pubblico con un testo simile se questa canzone non rappresentasse uno dei suoi più grandi successi.
Ad accendere il dibattito sul catcalling, nei giorni scorsi, è stata Aurora Ramazzotti, figlia di Eros e di Michelle Hunziker, dove attraverso i social si è chiesta come sia possibile che tale fenomeno esista ancora nel 2021. Un coro di voci si è alzato a sostegno della sua denuncia pubblica, ma allo stesso tempo sono stati tanti coloro che hanno minimizzato il fenomeno, definendolo semplicemente un corteggiamento un po’ ruspante e non una vera e propria molestia.
Del resto, basta digitare la parola catcalling e navigare un po’ tra i risultati di Google per rendersi conto che, ancora una volta, sembra quasi che siano le donne a dover risolvere il problema e non il contrario. La maggior parte degli articoli, infatti, sono rivolti alle donne e suggeriscono “come rispondere”, “come comportarsi”, “come difendersi”, ma nessuno è indirizzato agli uomini per spiegare “perché non farlo”, “perché è una molestia”, “perché alle donne non piace”.
La “giustificazione”, anche in questo caso, sta nel pantalone troppo stretto, nella gonna troppo corta, nelle curve messe in vista, nella bellezza “ostentata”. E ancora una volta, la vittima si trasforma in provocatrice. Per quanti anni ancora saremo costrette ad assumerci colpe che non abbiamo e ad ascoltare queste frasi aberranti?
Il direttore
Sono nata ad Avezzano (L’Aquila) sotto il segno dell’acquario, il 18 febbraio 1981, e dal 2009 vivo a Montesilvano (Pescara). Socievole, chiacchierona e curiosa dalla nascita, ho assecondato questa naturale inclinazione laureandomi a 24 anni in Scienze della Comunicazione a Perugia e scegliendo il giornalismo come ragione di vita prima ancora che come professione. Dopo diverse esperienze come giornalista di carta stampata e televisiva, dal 2012 mi occupo di cronaca per il quotidiano abruzzese il Centro, oltre a curare diversi progetti come freelance. Tra le mie più grandi passioni, oltre alla scrittura, ci sono i viaggi, la fotografia e il cinema, che nel 2011 mi hanno portato a realizzare, come coautrice, un documentario internazionale sulla figura della donna nell’area del Mediterraneo. Dall’estate 2015 ho il privilegio di dirigere il portale Felicità pubblica. Indipendente, idealista e sognatrice, credo nella famiglia, nell’amore, nell’amicizia e nella meritocrazia e spero in un futuro lavorativo migliore per i giovani giornalisti che, come me, preferiscono tenere i sogni in valigia piuttosto che chiuderli in un cassetto.
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