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FreePatrickZaki

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Cosa aggiungere alla vicenda di Patrick Zaki? I fatti sono ben noti. Patrick è “un prigioniero di coscienza detenuto esclusivamente per il suo lavoro in favore dei diritti umani e per le opinioni politiche espresse sui social media”. Rischia fino a 25 anni di carcere per qualche post di un account Facebook, che lui e la sua difesa considerano falsi e che, invece, la magistratura egiziana ha posto a base delle sue accuse. Altri 45 giorni di detenzione si sommano a quelli già subíti. Oltre un anno, ormai.

Come nel caso di Giulio Regeni, Amnesty International continua la mobilitazione e finora sono più di 150.000 le firme raccolte per chiedere al Governo egiziano la sua liberazione.

Straordinario il riscontro in Italia. Alla campagna “FreePatrickZaki” lanciata da Amnesty, con varie modalità, hanno aderito tre Regioni (Emilia Romagna, Toscana, Liguria), 55 Comuni, 15 Università, 4 Istituti bibliotecari, 80 scuole, decine di Associazioni. Credo si possa sostenere che l’impegno per la verità sull’assassinio di Giulio Regeni e per la liberazione di Patrick Zaki rappresentino le più grandi mobilitazioni per i diritti umani mai avvenute in Italia.

Più fattori che hanno reso possibile questo risultato. Naturalmente l’indignazione nei confronti di un regime che mostra il suo volto autoritario e repressivo. Ma ancor più pesano le caratteristiche delle persone coinvolte.

Giulio era un giovane uomo italiano, avrebbe oggi 33 anni, con studi negli Stati Uniti e in Inghilterra, dottorando all’Università di Cambridge. Per la sua Università era impegnato in una ricerca sui sindacati indipendenti egiziani.

Patrick è egiziano, ha 30 anni, sta frequentando un Master sulla parità di genere all’Università di Bologna. Il regime non tollera il suo impegno per i diritti civili e la sua tesi sull’omosessualità. Secondo alcuni la Polizia lo accusa di aver intrattenuto rapporti con la famiglia Regeni.

Due ragazzi colti, impegnati nei diritti civili, che vivono nel mondo e interpretano il loro tempo. Come tanti nostri ragazzi. Ma in Egitto tanto basta per essere ritenuto sovversivo e pericoloso. Per questo puoi cadere nelle grinfie degli “apparati di sicurezza” e così scomparire in un buco nero dove tutto è possibile.

Eppure l’Egitto è qui di fronte a noi, nostro partner in mille affari, baluardo della pace in Medio Oriente, alleato dell’Occidente. Facciamo fatica a capire. In realtà sono tanti i nostri “amici” che vìolano sistematicamente i più elementari diritti umani. Forse dobbiamo volgere lo sguardo anche verso questo aspetto della globalizzazione. Giulio, italiano, lavorava in Egitto. Patrick, egiziano, studia in Italia. In Egitto hanno incontrato la persecuzione. Tanti nostri concittadini lavorano in decine di Paesi diversi. Tanti stranieri vivono in Italia. Il diritto violato colpisce le persone ovunque siano e da qualsiasi Paese provengano. Certamente ci sono Paesi più o meno rispettosi dei diritti degli individui. Ma non c’è un altrove, nessuno può affermare che l’Egitto, la Siria, la Cina o la stessa Italia siano Paesi lontani, nessuno può ragionevolmente affermare che certe vicende non lo riguardino. Siamo tutti vicini, prossimi, le ingiustizie, le violenze, le limitazioni delle libertà subite da ciascuno riguardano tutti. Oggi più che mai. Amnesty International lo sostiene ossessivamente dal 1961, Giulio e Patrick ce lo ricordano in questo drammatico frangente.

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