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Benno Neumair, accusato di aver ucciso il padre Peter e la madre Laura. Ilenia Fabbri, uccisa in 9 minuti nella sua abitazione probabilmente, come sospettano gli inquirenti, da un uomo commissionato dall’ex marito. Rosina Carsetti, la nonna massacrata nel giorno di Natale e per il cui omicidio sono finiti in carcere la figlia e il nipote. Piera Napoli, 32enne mamma di tre figli, uccisa dal marito che voleva lasciare. Roberta Siragusa, la 17enne uccisa e data alle fiamme per il cui delitto dovrà rispondere il fidanzato. Teodora Casasanta e il piccolo Ludovico di appena 5 anni, uccisi dal marito e padre Alexandro Riccio.
Il 2021 si è aperto con una lunga scia di sangue (sono ben 7 solo i femminicidi) contraddistinta da un fattore comune: l’omicida spesso viveva sotto lo stesso tetto della vittima ed era ciò che di più caro potesse avere. Un figlio, un marito, un fidanzato. Non che questo rappresenti una novità. Basti pensare che, secondo il rapporto Eures, nel 2020 del totale dei femminicidi registrati, ben l’89% è stato commesso tra le mura domestiche. Se ampliamo il raggio d’azione, includendo anche il drammatico duplice omicidio di Bolzano, anche in questo caso sono diversi i casi noti che hanno riempito le cronache nel nostro Paese: da Pietro Maso a Erica e Omar, tanto per citare i delitti più discussi.
Eppure, forse a causa della concomitanza di diversi episodi drammatici concentratisi nell’arco di qualche settimana, sembra quasi che ci sia un preoccupante aumento del fenomeno. Difficile capirne le “motivazioni”, anche perché spesso molto diverse da caso a caso, ma ritengo che la pandemia e il prolungato lockdown abbiano acuito molti contrasti, alimentando discussioni o vere e proprie patologie che hanno finito per sfociare nei delitti davanti ai quali oggi rabbrividiamo.
E’ innegabile, infatti, che la reclusione forzata, la mancanza di socialità e di fonti di distrazioni, l’incertezza per il futuro e la paura abbiano accentuato in moltissime persone gravi forme di ansia, di disagio, di paranoia. Lungi da me il giustificare qualsiasi episodio delittuoso. Tutt’altro. Credo, tuttavia, che ci sia la necessità di correre ai ripari, di invertire la rotta, di monitorare le situazioni più critiche. Molto spesso, infatti, le vittime avevano già denunciato situazioni di violenza o lanciato un grido d’allarme, anche con parenti e amici, sulla situazione di pericolo che stavano vivendo. Una segnalazione, una denuncia, una verifica, probabilmente avrebbero evitato di stroncare il sorriso e il futuro di una madre, di un padre, di una giovane donna, di un bambino.
Tornare indietro non è possibile, andare avanti con maggiore attenzione e consapevolezza però è necessario.
Il direttore
Sono nata ad Avezzano (L’Aquila) sotto il segno dell’acquario, il 18 febbraio 1981, e dal 2009 vivo a Montesilvano (Pescara). Socievole, chiacchierona e curiosa dalla nascita, ho assecondato questa naturale inclinazione laureandomi a 24 anni in Scienze della Comunicazione a Perugia e scegliendo il giornalismo come ragione di vita prima ancora che come professione. Dopo diverse esperienze come giornalista di carta stampata e televisiva, dal 2012 mi occupo di cronaca per il quotidiano abruzzese il Centro, oltre a curare diversi progetti come freelance. Tra le mie più grandi passioni, oltre alla scrittura, ci sono i viaggi, la fotografia e il cinema, che nel 2011 mi hanno portato a realizzare, come coautrice, un documentario internazionale sulla figura della donna nell’area del Mediterraneo. Dall’estate 2015 ho il privilegio di dirigere il portale Felicità pubblica. Indipendente, idealista e sognatrice, credo nella famiglia, nell’amore, nell’amicizia e nella meritocrazia e spero in un futuro lavorativo migliore per i giovani giornalisti che, come me, preferiscono tenere i sogni in valigia piuttosto che chiuderli in un cassetto.
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